La fattoria delle vacche pettorute e sottone

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    Potrei collaborare un pochino con la sceneggiatura e la regia 😉😀
     
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    CITAZIONE (Enrico Rubbioni @ 26/8/2023, 12:10) 
    Potrei collaborare un pochino con la sceneggiatura e la regia 😉😀

    Sei scritturato!
     
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    ma lo so che è tutto frutto della tua mente perversa e che non c'entra niente con la realtà.. per quanto riguarda gli abusi a cui mi piacerebbe che tu e le altre sareste costrette a subire devo solo pensarci un po' :P
     
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    mi piacerebbe vedere un film tratto dalle tue avventure ma ci dovresti essere tu come protagonista indiscussa!
     
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    Minimo, qualche idea per renderlo la avrei
     
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    CITAZIONE (kaplan @ 26/8/2023, 15:08) 
    ma lo so che è tutto frutto della tua mente perversa e che non c'entra niente con la realtà.. per quanto riguarda gli abusi a cui mi piacerebbe che tu e le altre sareste costrette a subire devo solo pensarci un po' :P

    pensaci kaplan pensaci che poi la festa finisce 😂 😊 😘

    CITAZIONE (kaplan @ 26/8/2023, 16:21) 
    mi piacerebbe vedere un film tratto dalle tue avventure ma ci dovresti essere tu come protagonista indiscussa!

    chissà che non chiamino da cinecittà 😉 😍 😜 👍

    CITAZIONE (Enrico Rubbioni @ 26/8/2023, 16:24) 
    Minimo, qualche idea per renderlo la avrei

    bene Enrico, sei già scritturato come aiuto regista

    una preghiera però ragazzi: evitiamo troppi botta e risposta: va bene animare un po' il post ma senza esagerare e soprattutto senza rendere questa una chat: dai piani alti se ne sono lamentati e fanno sapere che si rischia di contravvenire al regolamento. Eventualmente mandatemi messaggi privati. E mandateli a me, non importunate altre utenti! anche per questo giustamente ci sono state delle lamentele. Per favore... Grazie 👍 💅
     
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    - CAPITOLO 5 -

    La festa è finita e la fattoria si svuota di colpo. Quel carnevale che si è riversato attorno e dentro di noi lascia posto ad un silenzio irreale. Noi ragazze, ancora attaccate alle mungitrici che incessantemente ci pompano il latte nelle cisterne, non abbiamo neanche la forza di guardarci tra noi. Siamo svuotate, sfatte, avvilite. Se lo scopo della festa era farci sentire sconfitte per segnare così il trionfo di chi ha deciso che non valiamo niente, allora gli organizzatori hanno davvero colto nel segno.
    Solo l'indomani, quando veniamo condotte nella nuova sala mensa per rifocillarci e fare colazione, qualcuna di noi ha la forza di alzare lo sguardo dal tavolo e dire qualcosa:
    - No, ragazze, così non va... Non ci possono fare questo... Cioè, non so voi, ma io ieri sono stata chiavata ininterrottamente per ore, da gente che mi annodava i preservativi usati ai capelli... Sono stata inculata una ventina di volte da donne e uomini e anche da minori... E dico una ventina solo perché ho perso il conto. Poi, per tutto il tempo, sono stata derisa e insultata da vecchi e bambini, che venivano incitati a farmene di ogni... E tutta quella gente, con il cellulare, a riprendermi... Va bene, saremo anche delle sottone buone a nulla, delle mantenute dalla società, come dice la premier... Però a tutto c'è un limite...
    - Ha ragione! Se non puntiamo i piedi questa volta, in futuro arriveranno a farci veramente di tutto. Non possiamo permettercelo!, interviene un'altra, con la sesta abbondante e il volto rigato dal solco di abbondanti lacrimoni, che devono esserle scese per tutta la notte.
    - È vero! Cioè a me questa cosa della fattoria piaceva anche, almeno all'inizio, quando mi hanno destinata qui. E lo dico senza vergogna. Sono sempre stata una ragazza remissiva e sapevo che prima o poi sarei finita così, ma quello che mi hanno fatto ieri è stato orribile e non penso che me lo meritassi. Io sono solo me stessa. Mi piace farmi fottere pesantemente e senza riguardo, l'ho confessato candidamente anche alla polizia, quando mi hanno interrogata. Però anche le carezze e le coccole sono importanti. E i preliminari sono importanti. Invece questa gente vuole solo farci del male. Io ieri sono svenuta dal dolore. A un certo punto, davvero, credevo che non ce l'avrei fatta più. Volevo solo che tutto finisse, che se ne andassero, che mi riportassero a casa. Chissà se la rivedrò mai, casa mia, i miei affetti, le persone che mi hanno voluto bene per quella che sono!
    - Coraggio, ragazze! Non disperiamo! In fondo è stata solo la follia di un giorno. Ci dovranno trattare con più rispetto d'ora in poi. Almeno, lo dovranno fare, se vogliono che continuano a produrre latte, sottolinea un'altra ragazza, con una quarta abbondante di seno, che si massaggia da quando è stata liberata dalla postazione.
    - Cosa vuoi dire?, domanda una quinta piena.
    - Voglio dire che se non scioperiamo ora, possiamo davvero scordarci ogni diritto, ogni trattamento di favore. Saremo solo delle vacche da mungere e da fottere all'occorrenza. Beh, non so voi, ma io sono una donna e anche le donne, per quanto siano mansuete e propense alla sottomissione come lo siamo noi, anche le donne come noi, dico, hanno una dignità. Dobbiamo rivendicare i nostri diritti e difendere la nostra dignità. Ecco quello che dobbiamo fare!
    - Sì, così ce lo prendiamo in culo due volte!, intervengo io.
    Le ragazze, pressoché all'unisono, voltano lo sguardo verso di me. In meno di un istante catalizzo l'attenzione dell'intera sala. Sono pur sempre Sweety Chiaretta, il volto della pubblicità del latte, la prima femminuccia in gonnella messa in produzione e la prima ad essere stata incontrata dalla premier: una celebrità per cui già pago lo scotto, ma che anche mi conferisce un certo ascendente sul gruppo.
    - Durante la festa, non so se ve ne siete rese conto, ma io da sola ho dovuto subire, da sola, quello che nessun'altra di voi avrebbe neanche potuto lontanamente immaginare o sopportare. La fila di quelli che staccavano il numerino solo per togliersi lo sfizio di fottermi è arrivata fino all'ingresso della stalla. Quei cori ignobili che sono stati cantati prima e durante la festa scandivano unicamente il mio nome. Io sono stata la più esposta tra tutte e ne ho pagato le conseguenze, che quasi non mi reggo in piedi.
    - Va bene, Chiaretta, lo sappiamo, ma cosa ci vuoi dire esattamente?, mi domanda la ragazza di prima.
    - Voglio dire che se ci mettiamo a scioperare, dobbiamo essere coscienti delle conseguenze a cui andiamo incontro.
    Il silenzio torna a gravare sulla sala mensa, ormai trasformata in un'assemblea improvvisata.
    - Parla chiaramente, Chiaretta. A cosa credi che andremo incontro?, domanda ancora la stessa ragazza.
    - Ragazze, se ieri ci hanno fatto un culo così in un clima che doveva essere di festa, se ci mettiamo ad avanzare rivendicazioni e addirittura a scioperare, ve lo dico... ragazze... quelli ci aprono in due!, è l'affermazione che accompagno al gesto eloquente del pollice e dell'indice di entrambe le mani, allargate a mimare la dilatazione massima del nostro buco di culo.
    - Beh, non sarebbe poi così male!, prova a sdrammatizzare una quinta abbondante.
    - Sentite, Chiaretta ha ragione. Probabilmente andremo incontro ad una nuova sconfitta, ma se non ci proviamo saremo sconfitte in partenza. Perciò io dico che è meglio prenderlo due volte in culo che stare a lagnarci come le ochette che siamo.
    - È vero! Se non ci ribelliamo ora non ci ribelleremo mai più. E allora tanto vale ribellarci. Al massimo ci prepareremo a prenderlo di nuovo in culo. Che male c'è? Dopotutto, ci siamo abituate, o no?
    - Giusto! Ci siamo abituate.
    - E ci piace anche!
    - Sì, siamo sottone e masochiste. Ci piace prenderlo in culo! Siamo qui per questo.
    In breve, la decisione è presa: la fattoria entra in sciopero. Nonostante la mia manifesta sfiducia, non mi sottraggo alla firma del documento che certifica come, di fronte alle inaccettabili condizioni in cui versiamo, tutte noi, ragazze della fattoria delle maggiorate, ci rifiutiamo di proseguire la mungitura. Almeno finché non avremo ottenuto maggiore rispetto e il riconoscimento, per iscritto, della nostra dignità.
    - La vostra dignità?, ripete e domanda il fattore, stringendo tra le manone il documento delle nostre rivendicazioni.
    Alla consegna, tutte noi ragazze ci saremmo attese una scenata da quel contadinotto. Invece quello ostenta calma e fermezza.
    - Benissimo. Se è questo che volete, lo avrete, afferma serafico il padrone della fattoria.
    - Accetta le nostre condizioni?, chiedo io, sorpresa.
    - No. Chiamo la polizia. Prego, prego. Scioperate pure.
    A quelle minacce, un paio di noi già fanno per fiondarsi alle postazioni di produzione ed estrazione del latte, ma altre ragazze le fermano e le scuotono.
    - Ci vogliono forti. Proviamo ad esserlo per una volta, le richiamano così all'ordine.
    Lo sciopero ha dunque inizio. Con una creatività che ci rianima, ci mettiamo subito a confezionare striscioni e cartelli: "Non siamo mucche da mungere"; "Abbiamo la nostra dignità"; "Basta fotterci! Amateci per quelle che siamo!". Sono solo alcuni degli slogan che accompagniamo al simbolo del sesso femminile, completato da un pugno chiuso, segno della lotta di tutte le donne, anche quelle segregate come noi da un femminismo ingiusto e machista.
    Per quanto ancora piena di cattivi presagi, la mia mente non è mai stata così libera. Per la prima volta in vita mia sto facendo politica e con altre ragazze vado concependo un embrione di coscienza collettiva.
    Poco dopo, arrivano le camionette della polizia. Nude, avvolte dagli striscioni e brandendo i manifesti sopra le teste, usciamo nell'aia dove scandiamo i nostri slogan e in particolare una parola:
    - Dignità! Dignità! Dignità!!! Rispetto e dignità! Siamo le maggiorate della fattoria! Chiediamo rispetto e dignità!, gridiamo.
    Non mancano i soliti giornalisti a documentare la scena. Qualcuno di loro viene ad intervistarci e sono io, come al solito, a fare da portavoce. Spiego le nostre ragioni, spiego che così come veniamo trattate non è possibile produrre un buon latte, che la festa del giorno prima ci ha svilite profondamente nella nostra femminilità e via dicendo.
    Intanto, le forze di polizia si schierano. Non sono però in assetto anti sommossa, come ci aspettavamo. Gli agenti sembrano concilianti, quasi distratti dalle nostre forme muliebri, così pronunciate ed esposte ai quattro venti. Le agenti invece sogghignano e ci guardano in tralice, con un misto di commiserazione e invidia. Un altoparlante inizia a gracchiare:
    - Va bene, pollastre! Qui avete una scelta da fare: o tornate in batteria a farvi mungere, senza troppe storie e la chiudiamo qui, oppure...
    Qui il maresciallo o chi per lui ha un tentennamento. Si schiarisce la voce con una tossettina.
    - Ehm, oppure... sono ordini del ministero...
    - Oppure cosa ci fate?, chiedo io a voce alta.
    - Dai, ragazze, ci siamo capiti, afferma l'altoparlante e giù tutti a ridere.
    Gli agenti ridono, il fattore e la sua famiglia ridono, qualche avventore ride, i giornalisti non riescono a soffocare le risate.
    - No, saremo un po' oche di nostro, oppure sarà che siamo ancora un po' confuse da ieri, ma no, non abbiamo capito. Cosa ci fate, se restiamo qui?, domanda una sesta misura piena alle mie spalle, mentre qualcuna, un po' meno confusa da ieri, prova a fermarla.
    - Beh, diciamo che se vi voltate tutte insieme, ci facilitate il compito, così possiamo tornare in caserma anche noi.
    E giù tutti a ridere di nuovo.
    - Oh beh, allora potete scordarvelo che ci volteremo, facciamo in coro e ci prendiamo l'una l'altra a braccetto, formando un insieme compatto di trenta maggiorate, pur sempre nude, ma determinate a rivendicare diritti e dignità.
    - Vabbè, l'avete voluto voi, afferma l'altoparlante e subito dà ordini agli agenti di prepararsi.
    Dal fianco di poliziotti e poliziotte emergono bizzarri fucili, culminanti con una sorta di missili terra-aria dalla forma decisamente fallica.
    Alla vista di quei cosi, un fremito ci pervade. Sentiamo distintamente le palpitazioni nei nostri petti crescere, avvampare sul viso. Qualcuna si comincia a sventagliare il volto con entrambe le mani.
    - Maaaamma! Maaaaamma!, ripete.
    Qualcuna ansima e sbuffa, presa dall'ansia.
    - Respira! Tesoro, respira!, ci diciamo a vicenda.
    È un misto di paura ed eccitazione a crescere in noi e a liquefarci, come un panetto di burro cotto in pentola, sul fuoco messo al massimo. C'è chi non ce la fa più e inizia a toccarsi: le poppe, i capezzoli, le labbra, il pube. Ognuna reagisce a modo suo, ma in quanto a dignità non sembra essercene rimasta molta, fuorché su striscioni e cartelli, che iniziano a caderci dalle mani.
    - Allora, poppone, cosa vogliamo fare? Ci volete facilitare i compiti, o no?, chiede beffardo l'altoparlante.
    - Che cosa?, chiede berciando una di noi che deve essere la più oca del gruppo.
    - Taci e apri le gambe, va’, oca!, le grida subito un'altra dall’altra parte del gruppo.
    A quel punto, la resa è totale. Cartelli e striscioni vengono atterrati e ognuna di noi li segue nella posizione che preferisce: sdraiata di schiena a gambe divaricate, o accucciata con il sedere in aria.
    - Brave bambine! E adesso un bel respiro, mi raccomando!
    L'altoparlante comanda di mirare, gli agenti prendono la mira e nel mirino di ognuno di loro compare a preferenza di ognuno di loro la vagina o lo sfintere anale di ognuna di noi. Gli indici degli agenti fanno pressione sui rispettivi grilletti, mentre una discreta folla parte con la ola:
    - Oooooooooooooooooo...
    - Fuoco!, comanda l’altoparlante.
    BUM!
    Con una precisione chirurgica i missili vengono fiondati a destinazione e si incuneano lì dentro, contro ogni apparente legge della fisica. Per fortuna e per carità, le forze dell'ordine ci hanno usato la cortesia di lubrificarli per bene, quegli affari.
    - Oh, sì! Godoooooooooooh!
    Più di una tra noi trova modo di raggiungere l'orgasmo anche così, con un colpo secco e risolutivo.
    - Così finisce la nostra dignità, faccio tempo a sospirare io, mentre mi preparo a ricevere, accucciata, con le poppe a terra e il culo in aria, un missile fallico che, di schianto, mi separa le chiappe e mi si pianta, imperioso e devastante, nella parte terminale del retto.
    - Cristo! Lo sapevo che finiva così!, mi lagno.
    - Ah, scusate un momento, chi è la portavoce dello sciopero?, domanda l'altoparlante.
    Con qualche difficoltà alzo il dito indice della mano destra.
    - Giusto, la famosa Chiaretta Sweety. Beh, per te abbiamo un altro missile. Se ti vuoi aprire un altro po', cocca, facciamo subito. Puntare… Fuoco!
    Bum!
    Un secondo missile mi si incastona nella vagina, riuscendo a trapassare la cervice e invadermi l'utero. Se avesse avuto delle antenne sulla punta avrebbe finito per violentarmi anche le tube di Falloppio e strapparmi le ovaie. Agenti di polizia e gente comune se la ridono e applaudono alla capitolazione delle scioperanti maggiorate e sottone.
    - Oh, sì! Oh, sì! Sìììììììììì!!! Godooooooooooooooooooooooh!, esclamo anch’io, raggiungendo l'orgasmo tra il giubilo generale.
    Finiscono così le nostre velleità di ribellione, ma non la nostra storia alla fattoria delle maggiorate, dove veniamo riportate in barella.

    Edited by Sweety Chiaretta - 27/8/2023, 18:19
     
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    - CAPITOLO 6 -

    Tra la festa e lo sciopero fallito, diventiamo nel giro di due sole giornate la barzelletta dell'intero paese. Anche all'estero parlano di noi e del nostro tentativo di ribellione, ma non è per farci i complimenti. Io in particolare, da celebrità e volto del latte cui hanno dato il mio nome, sono ridotta ad un meme. Le gifs, o immagini animate che mi ritraggono nelle situazioni più comiche e insieme degradanti, rimbalzano ovunque sul web e sui social: "Vogliamo dignità!", è la scritta che campeggia e si illumina a intermittenza sotto la sequenza dell'inculata epica, rifilatami dalla femminista con lo strapon durante la festa, quella che mi vede svenire e perdere i sensi, con espressioni facciali talmente buffe e insieme tragiche da strappare un sorriso; "Anche noi siamo donne con le palle", recita la scritta di un montaggio video, con noi che protestiamo e brandiamo i cartelli. Poi subito: "Ooops, ci siamo sbagliate!", cambia la scritta e anche l'immagine. I missili fallici sparati dalla polizia ci penetrano davanti e dietro, mentre noi si gode senza ritegno, come un pollaio di galline strozzate e ripiene.
    Così avvilite, osserviamo tutte il telegiornale della sera, che dedica al nostro sciopero abortito ampi e articolati servizi. Non mancano neppure le trasmissioni di approfondimento stile talk-show. Le guardiamo sedute su pile di cuscini o sdraiate sulla pancia semplicemente perché non ci è possibile sederci per il gran male. Siamo appena uscite dall'infermeria dove ci hanno visitate tutte. Io in particolare, sono stata lì per ore, dal momento che sono stata anche l'unica, tra tutte, ad avere rimediato una doppia penetrazione: un altro ringraziamento alla mia celebrità.
    - Oggi ci siamo divertite, eh, Miss Sweety? Giocavate a fare le "Galline in fuga", come nel cartone animato?, mi canzona il dottore, che prima di applicarmi una pomata con il dito medio sia davanti che dietro, si è divertito a ispezionarmi entrambi i buchi con specoli dalle misure imbarazzanti.
    - Oh! Oh! Sì, che sollievo, dottore... Non è che vuole farmi godere anche lei?, gli domando, con la massima innocenza di cui sono capace.
    - E perché no?, fa lui, subito cogliendo la palla al balzo.
    Inizia a frizionarmi energicamente la vulva e ad affondare con due, poi tre dita nella vagina.
    - Si rilassi, Miss Sweet... Si rilassi, che tanto non va da nessuna parte. Goda come la troia che è, che se è qui un motivo ci sarà. Adesso è mia, Miss Sweety, solo mia!, mi sussurra il dottore.
    E io:
    - Oh sì! Oh sì! Non mi basta mai, dottore. Vengo. Vengoooooooooooooohhh!!!
    Una volta venuta, il medico mi fa notare che un paio di dita non sono comunque un cazzo e che il suo gradirebbe un pompino. Cos'è, ragazze, gli dico di no? Me lo ciuccio con gusto e, a dirla tutta, sono pronta a farmi una bella scorpacciata di sborra, quando preferisce venirmi sulle tette.
    - Aaaaah, sì! Le famose poppone di Miss Chiaretta Sweety! Siete proprio delle puttanelle qui dentro. Hanno fatto bene a rinchiudervi. Giusto questo sapete fare, conclude il dottore, accennando al fatto che si sia divertito un mondo a visitare noi altre e a farci ulteriormente godere, una per una.
    Così rilassate e non di meno ancora doloranti per i missili ricevuti, guardiamo tutte insieme, con il beneplacito del fattore, le trasmissioni che ci vengono dedicate.
    - È una vergogna che trenta vacche, invece di stare a produrre latte, se ne siano uscite a protestare, rivendicando diritti che non devono più avere e accampando pretese, attacca un opinionista.
    - Sì, però le avete viste tutti. È bastato mostrare loro qualcosa di fallico che non ci hanno capito più niente. Non stiamo parlando di pericolose sovversive, ma di semplici donnine che per tutta la loro pure giovane vita, da quando hanno scoperto cosa piaceva loro del sesso, non hanno fatto altro che alzare la gonnella per farsi meglio penetrare dal maschio di turno, o dalla femmina dominante. È la loro natura che le porta a comportarsi in modo così remissivo e succube. Sono semplici residui del patriarcato, che ieri si facevano mantenere e che oggi sono giustamente costrette a produrre latte per le attuali e future generazioni. È normale che non ne siano abituate e che debbano imparare a stare al loro nuovo posto nella società.
    - Sì, però che lo imparino alla svelta. A nerbate!, fa un terzo opinionista, sfilandosi la cintura e facendola roteare in aria, tra gli applausi del pubblico.
    Ci guardiamo un po' avvilite, ma con un sorriso complice.
    - Chi ha già buscato cinghiate alzi la mano!, spunta fuori tutta d'un fiato una quinta di seno, che si sbraccia con ilarità.
    - Valgono anche sculaccioni di altro tipo?, chiede una terza.
    - Vale!, risponde la quinta.
    Una selva di mani si alza per gioco e tutte ci mettiamo a ridere. A nessuna, dico a nessuna di noi trenta, lo capiamo all'istante, la vita ha mai risparmiato una sana dose di sculaccioni. Alcune, come me, le hanno buscate appena ieri. Eppure, nessuna supera i trent'anni.
    - Mio papà mi ha sempre sculacciata, fin da bambina. Quanto ho pianto! Poi ho capito quanto può essere piacevole ed eccitante e non riesco più a farne a meno, interviene una ragazza lunga e distesa con il sedere su un paio di cuscini.
    Smack!
    - E brava cocca!, dice un'altra che le ha appena menato un ceffone sulla chiappa sinistra.
    Se per rimetterci in riga, useranno il vecchio metodo, troveranno pane per i loro mestoli e battipanni, penso io: culi, culetti e culoni belli allenati a diventare paonazzi per le botte che riceveranno.
    Non ci sbagliamo. Già l'indomani riceviamo una visita inattesa.
    - Ragazze, dopo le intemperanze di ieri, dal ministero hanno deciso che non vi potete permettere altre mattane simili. Perciò sarete rieducate, ci spiega il fattore a colazione.
    - In che senso?, fa la più oca del gruppo.
    - Nel senso che riceverete presto la visita di un'equipe di istruttori che vi impartirà lezioni donnesche. Non chiedetemi di cosa si tratta perché sono uomo e di queste cose d'altri tempi, che piacciono tanto a voi altre femminucce in gonnella, non ne so e non ne voglio sapere niente.
    Detto questo, veniamo spedite in produzione come niente fosse e per giorni veniamo munte, munte e ancora munte, ma anche fottute, fottute e ancora fottute, per essere munte meglio e per produrre un latte di qualità. Finché, non molto tempo dopo, un paio di giorni circa, veniamo raggiunte dalla famosa equipe di rieducazione. Si tratta di cinque tra istruttori e istruttrici che hanno il compito di impartirci qualche lezione allo scopo di sedare sul nascere ogni nostra velleità di ripetere lo sciopero che, dopotutto, ci ha solo messe in ridicolo.
    - Sì, siete state ridicole, ma d'ora in avanti dovete imparare ad essere soprattutto docili e mansuete. Il governo non vuole delle mucche pazze. Vuole delle brave donnine che sappiano cavarsi fuori dalle poppe abbondante latte e che...
    La signora che parla fa un eloquente gesto con il braccio, roteando il polso come a dire:
    - Che sappiate farvi chiavare a dovere, come si deve e senza rompere troppo il cazzo! Giusto, uomini?, fa lei rivolta alla componente maschile della squadra
    - Giusto!, fanno loro mimando il gesto dell'ombrello e così mostrando i bicipiti scolpiti.
    Meno della metà di noi applaude. Solo due o tre elementi lo fanno però con viva convinzione. È quanto basta a fare sussurrare alla donna, che sorride beffardamente:
    - E queste volevano fare la rivoluzione...
    Qualcuna ride e anch'io mi concedo una sana risata. In fondo, siamo dove ci meritiamo di essere, penso io.
    - Benissimo. Come prima lezione impareremo, o meglio ripeteremo un fondamentale essenziale alla sottomissione della donna all'autorità virile. Signorine, ora tutti i giorni per almeno un'ora al giorno, sucherete il cazzo!, dice la donna, scendendo bene ogni sillaba, prima di dare l'ordine di distribuire dildi di plastica ad ognuna di noi.
    Sono dildi molto belli, appetitosi, di tanti colori diversi e tanti sapori diversi. Gli istruttori e le istruttrici li sbattono sul tavolo dove siamo allineate di modo che la ventosa faccia presa sulla superficie. Per essere più comode appoggiamo le nostre abbondanti poppe sul tavolo, ci sistemiamo i capelli dietro le orecchie con fare malizioso e iniziamo a "sucare" come sappiamo. Già dalle prime, sembra che ci sappiamo fare.
    - Brave, cocche! Sentite il cazzo che vi entra nel palato, che mi arriva alla gola? Provate a parlare ora.
    Qualcuna, tra le più stupide tra noi, ci prova per davvero e a momenti si strozza.
    - Visto? Non ci riuscite. Questo è il modo con cui vi tapperemo la bocca tutte le volte che sarà necessario farlo. Volete esprimere una vostra opinione, un vostro pensiero che vi passa per la testa o semplicemente pettegolare sulla nuova acconciatura di una di voi? Vi tapperemo la bocca, belle mie, e ve la tapperemo così, con un bel cazzo che vi farà bagnate e sentire fragili, inutili al suo cospetto. Quindi abituatevi.
    Personalmente, devo dire che quando stavo con un ragazzo che anche lui aveva l'abitudine di usare l’uccello - e ce l’aveva bello grosso - per tapparmi la bocca, ogni volta che lo riteneva opportuno, vuoi perché chiacchieravo troppo, vuoi perché dicevo cose inopportune, non ho mai sgradito di essere trattata così, né mi sono mai lamentata o tirata indietro quando c'era qualche altro cazzo da poter succhiare. A giudicare dal silenzio calato nella stalla, anche le altre devono esserci abituate. Forse non tutte però.
    - Ma che minchia fai, biondina? Mica lo devi morsicare. E apri quella boccuccia che devi sentirlo fino in gola, afferma un istruttore e afferra per la nuca una ragazzina con la quarta di seno e la spinge sul cazzo di modo che quasi soffocandola arriva con le labbra a toccare lo scroto di plastica.
    - Cough! Cough!, fa la ragazza, sbavando abbondantemente.
    L'istruttore molla la presa e quella riemerge dal dildo con le lacrime agli occhi, prendendo fiato come fosse appena uscita da un'immersione in apnea.
    - Lo rifai da sola o ti devo spingere ancora io?, chiede minaccioso l'istruttore.
    - Fa... faccio io... grazie... si... signore..., risponde la ragazzina in lacrime.
    - Allora, non è un problema che piangiate o frignate. Dopotutto siete delle femminucce sottone e masochiste, quindi ci sta che versiate bei lacrimoni. Solo, non ci dovete rugare il cazzo! Chi sa cosa vuol dire?, domanda la donna, prima istruttrice.
    Alzo la mano:
    - Che non dobbiamo dare fastidio a chi comanda, che dobbiamo restare buone al nostro posto, mute.
    - Brava. Tu sei Chiaretta Sweety, vero? Ormai sei su tutti i giornali, le televisioni e i muri della città. Mio figlio mi ha mostrato un meme di te che lo prendi in culo e svieni. Ecco, vi insegneremo anche questo: a prenderlo in culo con più naturalezza di modo che per voi sia la cosa più naturale al mondo. Anzi, se già mi vuoi raggiungere, diamo una dimostrazione pratica alle tue amiche di stalla.
    - No grazie, ho già dato in questi giorni.
    - Miss Sweety, non era una proposta, la mia, era un ordine. Avanti, venga qui e apra il culo.
    Obbediente, la raggiungo. Mi squadra come fossi una creatura esotica da sottoporre ad un trattamento necessario. Dalla scatola degli attrezzi estrae uno strapon meno eccessivo di quello che mi fece svenire e se lo indossa con lentezza e agio, sorridendo maliziosamente.
    - Adesso girati, Chiaretta, e guarda le tue amiche.
    Mi giro verso di loro e mi appoggio con i gomiti al tavolo.
    - Di più, mi ordina l'istruttrice.
    Mi spiano totalmente sul tavolo con le tette come cuscini sotto il mento e con entrambe le mani mi afferro i glutei e li separo, mostrando il forellino lì in mezzo.
    - Brava. Vedo che ci sai fare.
    Come fece la femminista, anche l'istruttrice mi afferra per la coda e fa fare ai miei capelli un doppio giro del suo pugno. Si lecca l'altra mano, con la quale inumidisce il mio sfintere e la sua mazza.
    - Non servirà altro per lubrificare.
    Di colpo, con l'evidente scopo di ferirmi o comunque di farmi male, me lo infila tutto fino in fondo. Comincia a stantuffare.
    - Ohi-ohi!, dico io.
    - Fa male, eh, Chiaretta?
    - Un pochetto...
    L'istruttrice spinge più duro e più forte.
    - Vedete, ragazze, voi siete delle femminucce in gonnella, come si dice e adorate, letteralmente adorate prenderlo in culo. Nessuna donna forte, in carriera o che aspiri ad avere successo nella vita è più disposta a sottostare ad una pratica maschilista, di vecchio stampo, così dolorosa e svilente. Solo voi vi sbrodolate tutte e godete a prenderlo in culo, anche se vi fa male. Perciò, adesso, ognuna di voi riceverà a turno lo stesso trattamento. Fa male, Chiaretta?
    - Ahia! Sì, fa male!
    - E allora guardale una per una e dì loro chi sei.
    - Sono Sweety...
    - Non il tuo nome, stupida! Dì loro chi sei ora, grazie a me.
    - ...
    - Sei una ro...
    - ...
    - Sei una rotta...
    - Sono una rottainculo, signora.
    - Come? Non hanno sentito.
    - Sono una rottainculo, signora!
    - Ancora. Che ti sentano bene fino all’aia.
    - SONO UNA ROTTAINCULO, SIGNORA!!!
    - Ecco, queste sono le vostre condizioni esistenziali adesso: femminucce rotteinculo. Questo siete.
    Intanto che urlo le mie ‘condizioni esistenziali’, l'istruttrice mi stantuffa con vigore, imperiosamente, da vera donna forte, da vera donna in carriera. Poi si arresta di colpo ed estrae la mazza dal mio didietro. Con un gesto di soddisfazione e insieme di disprezzo molla la presa ai capelli e mi spinge via, contro il tavolo.
    - Adesso puoi andare al tuo posto, puttana. Sempre che ti riesca di sederti. Chi vuole venire a farsi chiavare il fondoschiena per prima? State serene che ce n’è per tutte. Anche i nostri uomini sono qui per aprirvi il culo.Vero, ragazzi?
    - Vero!, fanno gli uomini dell’equipe, mostrando le rispettive erezioni.
    Con titubanza, tra noi si alzano le prime mani e si stirano i primi sorrisi di curiosità ed eccitazione. A gruppi di cinque, tutte le maggiorate della fattoria si alzano, si spianano sul tavolo e vengono inculate con forza e vigore da istruttori e istruttrici. Tutte devono pronunciare più volte la frase che fotografa la nostra condizione esistenziale:
    - Siamo delle rotteinculo!, affermiamo poi tutte in coro, massaggiandoci il didietro, prima di andare belle serene, e sedate, in produzione.
    Le lezioni sono appena iniziate.

    Edited by Sweety Chiaretta - 29/8/2023, 11:00
     
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    - CAPITOLO 7 -

    Le giornate passano tutte uguali alla fattoria delle maggiorate. Gran parte del tempo è dedicato alla mungitura, ma non mancano momenti di svago e dolcezza, finalizzati, per quanto ci dicono, a migliorare la qualità del latte. Tra noi ragazze prendiamo l'abitudine di leccarcela: è un momento di sollievo dopo continue penetrazioni vaginali, che pare servano a rendere il latto più nutriente, ma che pure alla lunga fiaccano. Non siamo tutte bisessuali, ma lo diventiamo per forza di cose. La sera soprattutto ci abbracciamo e anche dopo i pasti, ci ritagliamo una breve siesta in cui ci confortiamo, ci accarezziamo, slinguazziamo nella posizione del sessantanove, in un tripudio di forme, soprattutto mammarie. Spesso il fattore, i suoi famigliari e i suoi collaboratori si eccitano a vederci, cosicché chiedono soddisfazione immediata: si sostituiscono alle macchine fottitrici e ci danno dentro finché non raggiungono l'orgasmo: sempre rapporti rigorosamente protetti.
    A variare e rimarcare lo scorrere del tempo in fattoria, ci sono però le lezioni di rieducazione alla femminilità, volute dal prefetto. Proprio in suo onore, per dimostrare la raggiunta riabilitazione, l'equipe di istruttori ci ha volute coinvolgere in un concerto di strumenti a percussione, affatto singolare:
    - Vi suonerete le chiappe e lo farei voi stesse, da sole, spiega l'istruttrice capo.
    - Cosa dovremmo fare?, chiede la più oca di noi altre, che nonostante i continui ciucciamenti di cazzo non riesce proprio a tare zitta.
    - È molto semplice. Ognuna di voi userà il vostro sedere come tamburo. Si chiama self-spanking e se andate a farvi un giro su internet lo troverete. Vi forniremo di palette che userete per menarvi dei grandi sculaccioni. Una volta che avrete preso dimestichezza con gli strumenti, suonerete a tempo di musica e vi esibirete in un concerto pubblico, alla presenza del prefetto e magari chissà, anche della premier e di tutto il governo. Sarà il vostro modo di dimostrare che non avete più farfalle nella testa e che avete conseguito la piena riabilitazione femminina.
    - Forte!, esclama una sesta abbondante.
    - Sì, dovrete picchiare forte, per fare diventare i vostri culi belli rossi. A fine serata, il pubblico apprezzerà il risultato e, se siete state brave, vi applicherà una pomata lenitiva. Tutto chiaro?
    Intervengo io:
    - Ma scusate, perché invece di sculacciarci da sole, che non è semplice, perché non potremmo sculacciarci a vicenda tra noi?
    - Lo abbiamo pensato, ma riteniamo che ognuna di voi debba punire se stessa per avere aderito a quella farsa di sciopero. Quindi vi picchierete le vostre stesse chiappone, belle mie. Il tempo per imparare a farlo come si deve non manca. Poi eventualmente vi sculaccerete anche l'un l'altra, giusto per animare la serata.
    Detto questo, istruttori e istruttrici ci forniscono delle palette per sculacciarci e dislocano nella stalla dei trespoli su ci veniamo invitate ad appoggiare i fianchi e a rimanere così adagiate, con il sedere in aria.
    - E adesso, forza, ragazze! Dateci dentro! Vogliamo sentire i vostri sederoni che suonano al ritmo della rumba.
    Le casse che durante la mungitura propongono a ripetizione la canzone "Barbie Girl" degli Aqua, iniziano a diffondere per la stalla le note sincopate di una rumba, o un mambo latinoamericano. Insieme alle trombe, sono le percussioni a farne da padrona e noi dobbiamo restare a tempo.
    Sciaf! Spank! Sbang! Clop! Plof!
    Il suono dei nostri culoni appare subito vario e ci diverte.
    - Più forte, ragazze! Più forte! Dovete sovrastare la musica.
    - Ahi!... Ohi!... Mamma!... Ahia!... Brucia!..., esclamiamo, aumentando la forza degli sculaccioni che ci rifiliamo sulle nostre stesse terga.
    A qualcuna, che fa l'opposto e già frigna che le fa male, gli istruttori a turno, strappano la paletta e iniziano a sculacciare forte laddove le malcapitate avevano fatto di tutto per risparmiarsi.
    - Così devi fare, scema! Così!, urlano loro istruttori e istruttrici.
    Tra le poverette che ricevono questo trattamento brusco, c'è anche la biondina che già stentava a fare i pompini. La poveretta ha le lacrime agli occhi e più si dimena, più suscita ilarità tra le altre, me compresa.
    - No, basta, basta! Voglio andare via di qua! Voglio la mamma! Voglio il mio papà! Sigh! Sob!, frigna la biondina.
    - Ma dove vuoi andare? Che te, se non mi sbaglio, invece di studiare ti facevi i ditalini pensando ad un maschione di cinque anni più grande di te. Ma guardate che sappiamo tutto di voi. Tutto quello che avete confessato alla polizia durante gli interrogatori. Abbiamo i dossier. Ma dove volete andare, che siete solo delle sottone buone a nulla? La verità è che adorate farvi trattare da vacche quali siete. Prima vi facevate mantenere, adesso dovete produrre e godervi la vostra adorata femminilità tradizionale, che vi piaccia o no. Sapete le femminucce come voi quanti sculaccioni si sono sempre prese dai mariti? E adesso piangete, la redarguisce un'istruttrice tra le più invasate.
    Confesso che io come altre, già dopo il primo episodio del pompino fatto male e tanto più dopo questo episodio, ho maturato un senso di tenerezza e di protezione affatto materni nei confronti della nostra biondina. Perciò mi sono già data da fare per consolarla, leccandole abbondantemente l'apparato e abbracciandola e baciandola, confortandola che in fondo tutto questo è solo un brutto sogno e che presto riabbraccerà i suoi cari. Quante bugie si dicono per dare conforto a una persona! Ad ogni modo, a vederla e soprattutto a sentirla sculacciata così selvaggiamente dagli istruttori, viene a tutti molto spontaneo fare il tifo per lei:
    - Dai, cucciola, senti come suona bene il tuo bum-bum! Guarda come è già bello rosso! Dai, che sei una brava micina!, la incitiamo e quella giù a piangere, a lagnarsi e un poco anche a ridere.
    Finché l'istruttore che la sta sculacciando si ferma.
    - Ma che cazzo..., scandisce, alzandosi e guardandosi i calzoni, dove un'evidente macchia gli si sta allargando dalla cintola in giù.
    La musica si ferma. Noi smettiamo di sculacciarci. Guardiamo la scena, cerchiamo di capire. La biondina non ce l'ha fatta più. S'è fatta la pipì addosso. Solo che l'ha fatta soprattutto addosso all'istruttore, che non la prende affatto bene.
    - Brutta sorca puttana, afferma e inizia a picchiarla sul culo con una forza tale che rompe addirittura la paletta.
    Mentre quello va a lavarsi, la piccola rimane disarmata sul trespolo, a svuotarsi la vescica dagli ultimi rivoli caldi e a singhiozzare. Piange e ride al contempo. Si ciuccia il pollice come una bambina. Ha il sedere rosso fuoco e addirittura spellato. L'istruttrice capo va da lei e, anziché sincerarsi della sua condizione, l'afferra per un orecchio e la conduce via, dicendogliene di ogni.
    La rivediamo solo la sera, chiusa in una gabbia per cani. Indosso ha soltanto un pannolone e ci guarda, come ci guarderebbe un animale.
    - Per qualche giorno i suoi bisogni li farà qui dentro, nel pannolone. Poi vediamo se imparerà a comportarsi, afferma il fattore
    E aggiunge, sconsolato:
    - Se continua così, saremo costretti a trovarle un'altra collocazione. Magari nella stalla dei maiali. Peccato però. Fa un buon latte.
    Prima di lasciarla, andiamo tutte attorno alla gabbia per accarezzarla e confortarla un poco. Il risultato non è dei più incoraggianti: la ragazzina si rimette a piangere e a crucciarsi il pollice. Allora la guardo in quegli occhioni umidi, che mi fanno tanta tenerezza:
    - Ehi! Ehi, guardami! Noi non andremo al concerto senza di te. Anzi, non continueremo a farci mungere se non avremo la certezza che tornerai tra noi. Ci piaci. Sei una ragazzina splendida. Hai due tette che fanno invidia a tante donne, te lo dico io. Anche il tuo sederino, pure rosso e sbucciato, che adesso quei bastardi ti hanno avvolto nel pannolone, è un gioiello. Devi andare fiera di quello che sei. Non ti devi vergognare, non devi piangerti addosso. Il mondo è cattivo e ce l'ha con noi perché siamo il fiore dell'umanità. Non dare loro la soddisfazione di vederti crollare. Goditela. Ti è venuto da pisciare? Hai fatto bene a fargliela addosso. Li hai fatti incazzare per bene e noi ti vogliamo bene per questo. Ricordati che siamo qui perché la gente ci invidia. Chiunque vorrebbe essere una bella fica che si fa mantenere per tutta la vita, a cominciare da quella povera mentecatta della premier. Adesso si parla solo di forza, di carriera. Cose che non fanno per noi. Da principesse che eravamo, ci hanno rese vacche per umiliarci e dare corda alla loro ideologia malata, ma noi dobbiamo essere più forti di loro e sopportare le loro angherie. Solo così, ce la caveremo.
    Alle altre del gruppo il mio discorso piace e mi palpano il sedere in segno di approvazione, senza esagerare perché a tutte noi duole non poco. Ma la soddisfazione più grande è vedere la nostra amica chiusa nella gabbia e umiliata con il pannolone che si schiude in un grosso sorriso. È di una bellezza così fresca e disarmante, che mi avvicino alle sbarre e protendo le mie labbra. Chiudo gli occhi. Ci baciamo con voluttà.
    Poi mi viene naturale portare il seno destro alla sua bocca. Lei capisce e mi afferra il capezzolo con i denti. Delicatamente, succhiandolo, sugge il mio latte, a occhi chiusi.
    Nel giro di due giorni, la biondina viene reintegrata al gruppo. Pare che si sia scusata con l'equipe di istruttori e che abbia promesso loro maggiore impegno a sculacciarsi da sé. La buona parola del fattore, che non vedeva l'ora di riattaccarla alla mungitrice, oltre che di chiavarla, ha fatto il resto. Ora sembra un'altra persona: rifiorita, fiera della sua femminilità e della sua propensione a subire. Qualcuna sussurra che devono averle dato degli psicofarmaci, ma io sono pronta a scommetterci che, dall'episodio dello sciopero, qualcosa ci danno a tutte.
    Così, arriva la sera del concerto. Da cartellone proponiamo rumba, mambo, salsa e merengue per quanto riguarda il primo tempo. Nel secondo, musica classica con la cavalcata delle valchirie di Wagner, l'ouverture del Gugliemo Tell di Rossini, il valzer della frusta di Strauss, oltre ad una serie di polke. In prima fila c'è il prefetto e i suoi dignitari, mentre ad osservarci soddisfatta dal palco d'onore non manca la premier. Ha deciso di apportare una modifica al suo folto programma istituzionale per vedersi tributare quello che ha definito un omaggio alla politica del suo governo, fatta dalle maggiorate pentite della rivolta.
    - Non nascondo che quello sciopero da operetta intentato qualche tempo fa mi abbia profondamente deluso, al punto che ho dubitato addirittura che alle signorine fossero di colpo spuntate le palle. Ci hanno pensato le forze dell'ordine a smascherare il bluff e per questo ringrazio il prefetto e il comandante per la loro solerzia, nonché gli agenti e le agenti per la loro mira. Lo dico da donna: è stato uno spettacolo vedere quei missili ficcarsi nel culo e nella vagina di Miss Chiaretta Sweety e compagne. Ma ora le stesse che le hanno buscate allora ci delizieranno con un concerto di sculaccioni che si affibbieranno da sole, in segno di totale resa e sottomissione alle nostre politiche macho-femministe. Cosa potrei desiderare di meglio? Ecco perché non potevo mancare a queso concerto, spiega la premier prima che si abbassino le luci e che salta il sipario.
    - Signore e signori, Miss Sweety Chiaretta e le trenta maggiorate sottone della fattoria del latte umano si suoneranno il sedere per allietarvi vista e timpani e per non sedersi più da qui a un mese, annuncia lo speaker e giù tutti a ridere.
    Inizia il concerto.
    Sciaf! Spank! Sbang! Clop! Plof!
    Sciaf! Spank! Clop! Sbang! Plof!
    Spank! Sciaf! Sbang! Clop! Plof!
    Plof! Spank! Sciaf! Sbang! Clop!
    Sciaf! Spank! Clop! Sbang! Plof!
    Sciaf! Spank! Sbang! Clop! Plof!
    Intervallo.
    Sciaf! Spank! Sbang! Clop! Plof!
    Sciaf! Spank! Clop! Sbang! Plof!
    Spank! Sciaf! Sbang! Clop! Plof!
    Plof! Spank! Sciaf! Sbang! Clop!
    Sciaf! Spank! Clop! Sbang! Plof!
    Sciaf! Spank! Sbang! Clop! Plof!
    Uno scroscio di applausi e una standing ovation finale salutano l'esibizione, che ci vede stremate, ma felici. Con i sederoni paonazzi e spellati, ci concediamo anche un fuori programma: scendiamo sai nostri trespoli e iniziamo a inseguirci sul palco rifilandoci sculaccioni l'un l'altra, fuori tempo, tra un ballonzolare di poppone.
    Il pubblico è in delirio. Quando il sipario risale per gli inchini, siamo già tutte schierate con il culo alla platea e in mano un vasetto di pomata lenitiva, mentre lo speaker invita chiunque abbia piacere a salire sul palco e a massaggiarci le chiappe cospargendole di pomata.
    Arrivano a frotte. Non solo ci cospargono di pomata lenitiva le natiche, che pulsano dal dolore. Qualcuno e qualcuna si diverte con il dito medio a penetrarci l'ano o a massaggiarci la vagina finché qualcuna non viene.
    - Oh sì! Sì!!! Vengooooooooooohhh!!!, grido anch'io, regalandomi un nuovo orgasmo.
    Anche quello è un fuori programma, ma ben riuscito.
     
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    Altra grande idea, non deludi mai
     
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    CITAZIONE (Enrico Rubbioni @ 29/8/2023, 19:34) 
    Altra grande idea, non deludi mai

    Grazie Enrico!!! 🤩💋
     
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    - CAPITOLO 8 -

    Ragazze, ragazzi, la vita alla fattoria è qualcosa di meraviglioso! La nostra esibizione concertistica non solo è stata una grande successo. Ha segnato anche un punto di svolta nella quotidianità di noi, maggiorate e sottone. Adesso passiamo meno ore a farci mungere e il tempo libero che ci resta e che ci siamo guadagnate come premio per il concerto lo spendiamo a fare shopping e farci coccolare da estetiste specializzate. Tutto a carico del governo!
    Quando ce lo hanno comunicato siamo esplose di gioia. Ci siamo abbracciate e baciate. Saltavamo, facendo ballonzolare le poppone di qua e di là. Non ci contenevamo più. Abbiamo pianto, naturalmente, ed è stato un pianto liberatorio. Se avessimo saputo che sarebbe bastato sculacciarci a ritmo di musica per migliorare le nostre condizioni, ci saremmo risparmiate lo sciopero. Cioè no, forse no. Cioè alla fine è stato bello scioperare e farsi sparare dalla polizia anche è stato bello. Forse più bello ancora.
    Ad ogni modo, io questa settimana mi sono comprata otto vestiti, non so quante collane, gioielli di ogni tipo, anelli orecchini, collante, bracciali e poi cappelli, scarpe con il tacco dodici. Mi sono anche concessa una trattamento completo nel mio salone di bellezza preferito. Per chi volesse approfondire il discorso è disponibile il racconto che si intitola “Maschere, poppone, massaggi, unghie e tanta verdura”. Lo trovate sempre qui nella sezione dedicata.
    Anche le altre ragazze hanno fatto il pieno di sacchetti, buste e sacchettini e si sono fatte coccolare volentieri dalla mia stessa estetista. Tutte hanno scelto naturalmente il trattamento completo e nessuna se n’è lamentata. Mi hanno confidato che quando Doriana ha infilato loro la melanzana è stata una goduria incontenibile. Era da tanto che non ci sentivamo così bene, così cariche e infatti alla mungitura si è visto. Il latte è uscito abbondante e fresco dalle nostre mammelle e tutto sembrava andare così liscio, così bene.
    Finché non è arrivato il conto dal ministero:
    - Ragazze, ma siete impazzite? Solo diecimila euro spese da Chiaretta. Non vi dico l’ammonto totale perché c’è da vergognarsi. Questi sono soldi pubblici. Se viene un’ispezione vi fanno un culo così!
    Purtroppo per noi l’ispezione è arrivata puntualmente.
    - Benissimo, signorine. A giudicare dalla relazione stesa dal revisore dei conti nei vostri riguardi, vi siete divertite parecchio sulle spalle dello stato. Adesso, però, ci riprenderemo ciò che avete scialacquato con gli interessi, dice l’ispettore, che abbiamo accolto tutte alle nostre postazioni per la mungitura.
    - Nel senso che dobbiamo restituire quello che abbiamo comprato?, chiede una delle più oche del gruppo.
    - No, signorina. Quello che avete speso è stato speso, ma temo che non avrete modo di godervelo troppo. Nel senso che adesso vi apriamo il culo in un modo che non avete idea e che tutte le inculate che avete preso finora saranno balsamo al confronto.
    - Ohi-ohi!, ci lamentiamo un po’ tutte e abbassiamo la testa, sconsolate.
    - Fate entrare le macchine, ordina l’ispettore.
    Dalla porta della stalla entrano in fila indiana una trentina di macchine fottitrici delle dimensioni ben più ragguardevoli di quelle a cui siamo state abituate finora. Soprattutto i dildi montati sui bracci meccanici sono di dimensioni mostruose, di lunghezza pari allo strapon pendente tra le gambe della femminista che mi aveva fatto svenire durante la festa, ma dal diametro ben superiore. Forse più simili ai missili che ci aveva sparato nei buchetti la polizia.
    - E noi…? Voi…? Cioè… Quei cosi???, balbetto io, deglutendo, mentre le palpitazioni mi salgono e comincio a a sudare.
    - Sì, Miss Sweety, ha afferrato il concetto. Preparatevi tutte a farmi trapanare il buco del culo fino a perderne la sensibilità. Consideratela un’espropriazione a favore dello stato.
    - Ma è bellissimo! Sìììììììì! Spaccatemi tutta!, grida una di noi, presa dalla fregola di immolarsi.
    - Oh, alla fine, se ci devono rompere il culo, che ce lo rompano e chiuso, fa un’altra ugualmente emozionata.
    - Sì, ma ragazze, non so se ve ne rendente conto, ma questi affari ci azzerano. Non dico sedersi, ma voglio vedere come camminate poi!, ribadisce una terza, con la quarta di seno e un po’ di timore in più per il proprio fondoschiena.
    - Protestare non serve. Ormai lo abbiamo imparato. Allora tanto vale farci trapanare il forellino una volta per tutte, rincalza una quinta.
    La discussione va avanti tra noi, suscitando il divertimento dei manovratori delle macchine e dell’ispettore, che sembra attendere solo il momento giusto per intervenire.
    - Ah, non so se vi possa interessare, ma da quando infileremo questi cazzi elefanteschi nei vostri tondi culoni e da quando li azioneremo, fino a che non gli spegneremo del tutto e non vi daremo tregua, dovranno intercorrere esattamente ventiquattro ore. Non una di meno, non una di più. Ordini diretti della premier.
    - Che cooooooosa?!? Cioè un’inculata di ventiquattr’ore senza sosta? Ma questa è una follia, esclamiamo un po’ tutte in coro.
    - Una follia è stata restituirvi anche solo per pochi giorni quella libertà che vi è stata tolta per sempre e per fortuna. Se non venite attaccate a quelle macchine che vi succhiano il latte e lo imbottigliano per metterlo sul mercato, voi non siete altro che un danno per la società intera. Menate in giro i vostri culoni sculattanti, facendo compere a caso con soldi pubblici, così come vi facevate mantenere quando eravate cittadine a tutti gli effetti, prima che venisse approvata la legge della segregazione contro le femminucce sottone e scialacquone come voi.
    Detto questo, l’ispettore fa cenno agli operatori delle macchine di puntare all’obiettivo. Sento quel coso penetrarmi progressivamente il buco del culo, fino a raggiungere un senso di pienezza e di ingombro senza eguali. Ascolto le altre ragazze che fanno versi di dolore e si lamentano. Qualcuna invoca aiuto.
    Ad un ulteriore cenno dell’ispettore, le macchine vengono azionate. Hanno una capacità penetrativa che lascia esterrefatte, semplicemente senza fiato.
    - Ahiaaaaaaaa!!!… Ventiquattr’ore così non è possibile. Non è fisicamente sostenibile. Ecco!, protesto io per tutte.
    - Dovevate pensarci prima di strisciare la carta di credito, belle mie!, ci canzona l’ispettore.
    Poi, con gesti definitivi, annuncia:
    - Varieremo l’intensità degli affondi di modo che verrete sollecitate a velocità differenziata. Troverete un po’ di ristoro quando i pistoni decelereranno, mentre vedrete le stelle e tutti gli altri astri quando andranno al massimo. Inoltre, un sistema di lubrificazione automatico aggiungerà vaselina al nostro fondoschiena per facilitare le penetrazioni. Da semplice ufficiale del governo non faccio che eseguire ordini superiori, ma se posso permettermi di esprimere un’opinione personale, personalmente credo che stia per ricevere una lezione che non vi scorderete tanto facilmente e che sarebbe stato opportuno impartirvi già prima che poteste fare i danni che avete fatto alle finanze pubbliche. Quindi, signorine care, l’andate un poco a fare in culo!
    - Grazie, rispondiamo noi a denti stretti.
    - Prego, non c’è di ché, risponde lui sorridendo e abbandonando la stalla.
    Lo rivedremo in giorno dopo al termine di una autentica maratona. Ora, provate a immaginare cosa significhi venire trapanate nel culo, martellate costantemente, a velocità variabile da un maxi cilindro che ti separa le chiappone, ti riempie la parte terminale del retto, te la svuota a te la riempie in continuazione. Già dopo un’ora cominci a non poterne più, ma ventiquattro ore sono qualcosa che v oltre ogni limite di sopportazione umano e donnesco. Per quanto allenate e abituate a prenderlo in quel posto, io e le altre ragazze siamo messe letteralmente alla frutta, non solo per l’integrità dei nostri fondischiena, ma per la nostra stessa tenuta mentale.
    Ovviamente, per trovare un po’ di sollievo, soprattutto quando le penetrazioni si fanno pesanti e insistenti, iniziamo a squirtare in abbondanza:
    - Ahi!… Ahia!… Ohi!… Ooooooooh… Sì!… Sìììììììììììì!!! Godoooooohhh!
    - Oh sì! Oh sì! Godoooooooohhh!!!
    Una, due, tre volte. Non ci fermiamo più. Per trovare un minimo di sollievo, godere è l’unica strada e non potendoci toccare ci dobbiamo mettere la massima concentrazione per trasformare quei dolorosi affondi in un’occasione per godere come gatte in calore.
    Per rendere più interessanti i nostri sforzi e deriderci un po’ di più, come se la situazione in sé non bastasse, il fattore, la moglie, i figli e i collaboratori della fattoria ci mettono tra le gambe dei secchielli che riempiamo dei nostri umori e poi passano tra le postazioni a bagnarci il viso per mezzo di una spugna. Figuratevi chi di noi si è truccata! Il mascara ci riga di lacrime zigomi e gote. Chiediamo anche la gentilezza di farci bere e sempre per mezzo della spugna, oppure porgendoci il bordo del secchiello, ci dissetano con i nostri stessi umori.
    - Qui abbiamo le squartate della numero 24, la nostra maggiorata che invece di farsi strada nella vita lottando e spingendo ha sempre preferito farselo spingere dal partner di turno. E quanti ne ha cambiati, la nostra 24!, scherzano il fattore e la moglie, prendendo di mira ognuna di noi, dal momento che i rapporti di polizia sono pieni dei nostri vizi, dei nostri gusti e di quelle abitudini che ci hanno aperte le porte della fattoria.
    Ah, ho dimenticato di dire che ognuna di noi ha un numero che la identifica e che sostituisce il nostro nome proprio. Solo io vengo riconosciuta come Sweety Chiaretta, o Miss Sweety, e così vengo chiamata, ma in realtà il mio numero di serie sarebbe l’uno. Sono stata la prima ad entrare in fattoria e sono stata la prima ad avere un numero seriale, che mi è stato tatuato con lettere svolazzanti in fondo alla schiena, sopra la chiappa destra, non lontana dalla fossetta che si crea in quella zona, le rare volte che riusciamo a tornare in posizione eretta. Così anche le altre ragazze, secondo il loro ordina di arrivo, sono state tatuate con lettere svolazzanti in quella zona del corpo.
    Intanto che veniamo bagnate dai nostri stessi umori e ce li beviamo per non finire disidratate, mentre le macchine si accaniscono con precisione meccanica dentro e fuori ai nostri buchi di culo, naturalmente, veniamo munte come non ci fosse un domani. È incredibile la quantità di latte che riusciamo a produrre pure in una situazione di stress come quella a cui veniamo esposte, solo per avere fatto qualche acquisto fuori luogo.
    A dodici ore dall’inizio e altrettante dalla fine di questo lungo calvario, qualcuna di noi si lascia andare e comincia a perdere ogni contegno:
    - Sì! Sìììììì!…. Rompimi il culo!… Sono una troia puttana!… Ho acquistato venti diamanti da Cartier perché mi donavano!!!… L’ho fatto con i soldi del governo!!!… Sono una cazzo di puttana di merda!… Dovete rompermi i culo!!!… Me lo dovete distruggereeeeee… Oh!… Oh!… Ooooooh, sì, godoooooooooooooooohhh!!!
    E giù a squirtare, per il divertimento del fattore e della sua signora. Dovete sapere che il turpiloquio fa eccitare moltissimo noi sottone, masochiste e maggiorate, che viviamo nella fattoria, ma anche fa godere tantissimo tutte le donne sottone, masochiste e diversamente segregate nella società, a seguito della legge sul potenziamento e la virulenza del genere femminile, che ci ha ridotte, noi che godiamo a farci fare certe cose e non badiamo alla carriera, alle condizioni di paria.
    Così digiune e grondanti davanti e di dietro, con quei pali nel culo che continuano a spingere e a trapanare i nostri culoni, passiamo la seconda parte di questa insensata e crudele maratona e insultare noi stesse e a insultarci a vicenda, godendo come maialine. Non so dire quanti orgasmi ho provato mentre il culo semplicemente mi si disfaceva: sono passata da un bruciore folle e lancinante a perdere completamente di sensibilità e non sentire più quella parte del corpo.
    Un rivolo costante di saliva mi scende dal labbro inferiore e dagli angoli della bocca. Provo a non svenire, ma vedo che qualcuna non ce l’ha fatta. La testa della numero 12 penzola priva di sensi dalla sua postazione, mentre la macchina si accanisce sul suo bellissimo fondoschiena e la mungitrice le aspira anche l’anima, oltre che il latte. E così sono anche la numero 18 e la numero 4.
    Mi sento in buona compagnia e allo scoccare della ventesima ora, a quattro ore dalla fine di quella mattanza, capitolo. Incrocio gli occhi, caccio fuori la lingua ed emettendo una sorta di muggito sfatto, sfinito, faccio roteare la testa due, tre volte e crollo.
    Quando la macchina smette di incularmi non lo so bene con certezza. Il mio culo come quello delle altre è devastato e anche noi siamo ridotte a stracci. Ci staccano dalle mungitrici e poiché siamo più o meno tutte svenute, veniamo caricate su carriole e gettate sui nostri giacigli, dove ci viene spontaneo cercare conforto nei corpi offesi delle altre ragazze. Il culo non lo sento più. Ricordo solo un seno che spunta della forme delle altre. Mi ci attacco e prendo a succhiare. Succhio, succhio come una bambina. Il latte è fresco e buono. Incredibile che ancora le nostre poppone producano latte, dopo una mungitura di ventiquattro ore. Sono le meraviglie della fattoria.
     
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    - CAPITOLO 9 -

    Un’inculata durata ventiquattro ore! Se mai avrò un figlio o una figlia glielo voglio proprio raccontare, che la mamma, insieme ad altre ventinove maggiorate, si è fatta trapanare il buco del culo per un giorno esatto, senza pause e senza tregua. Detto tra noi, è una di quelle cose che ci concilia con il mondo e ci rende fiere della nostra straripante femminilità. Altro che tutte le carrieriste e le donne virili che tanto piacciono alla premier, al suo governo e alle femministe che predicano l’uguaglianza dei sessi.
    Siamo noi le vere donne! Noi che ci facciamo fottere sempre volentieri e ne godiamo un mondo. Noi che non abbiano ambizioni e che sognano soltanto l’uomo che ci spiani sul tavolo, ci sollevi la gonnella, ci strappi le mutandine e ci dia dentro come un forsennato, che ci martelli di brutto e tirandoci per i capelli e schiaffeggiandoci il culo, ci dica che gli apparteniamo.
    Noi siamo quel genere di donne ed è per questo che siamo finite nella fattoria delle maggiorate: perché apparteniamo al passato, perché i nostri desideri, i nostri sentimenti sembrano offendere le donne forti, che hanno finalmente ottenuto, dopo oltre un secolo di lotte, l’emancipazione e l’uguaglianza con gli uomini. Oppure le spaventa?
    Con questi pensieri nella testa mi ridesto dal torpore e dalle fatiche del giorno prima. Siamo ancora tutte indolenzite e con i culoni che ci dolgono. Fatichiamo a camminare e perciò ci trasciniamo in qualche modo fino alla sala mensa per riprenderci e per avanzare una nuova richiesta.
    Come al solito, dopo una consultazione tra noi, sono io a parlare per tutte. Davanti a me, gambe larghe, braccia incrociate, fronte accigliata, c’è il fattore. Forse è un poco scocciato delle nostre continue trovate, ma non di meno pare anche divertito. Certo è che ne porta e ne deve portare di pazienza con noi che gli abbiamo permesso di realizzare un business da capogiro, neanche ipotizzabile, prima delle leggi sulla segregazione e la messa in produzione di noi, femminucce sottone e tradizionaliste, e delle nostre poppone.
    - Padrone, lo chiamo per incontrare la sua benevolenza.
    - Padrone, ecco, non so come dirvelo, ma il fatto è che, consultandoci tra noi, già oggi di prima mattina, è emerso che, a seguito del trattamento ricevuto ieri, a noi tutte, in petto, ci è sorto un desiderio irrefrenabile.
    - Un desiderio irrefrenabile, ripete il fattore, con più di un filo di ironia.
    - Sissignore. Non so descriverlo diversamente. Potrei dire forse un bisogno che ci nasce da dentro, dal profondo di noi.
    - Sentiamo. Quale sarebbe questo bisogno, questo desiderio?
    - Ecco, il fatto è che, come sa bene, volenti o nolenti, con senso del dovere e consapevolezza della necessità di ricevere un meritato castigo…
    - Vi abbiamo trapanato il culo, interviene il fattore, ridendosela.
    - Ecco, sì, giusto, non avremmo saputo dirlo meglio e vi possiamo garantire che si sente, il trapanamento, si sente. Però, ecco, si da il caso che ad essere proprio pignoli, avremmo tra le gambe un altro buchino che…
    - E volete che vi trapaniamo anche quello? Oh, Sweety, potevi dirlo subito, no?, interviene ancora il fattore e fa per slacciarsi i pantaloni.
    Lo fermo.
    - No, ecco. Sta qui il punto. Non che disdegnamo di farci chiavare da lei, ci mancherebbe. Non ci fraintenda. È solo che per noi tutte ci vorrebbe qualcosa di più, non so se intende?, domando con cautela.
    - Intendo solo che non vi bastiamo. Ci sono io, i miei figli, i miei collaboratori e volendo anche mia moglie con lo strapon. Siamo tutti disposti a chiavarvi. Dove sta il problema?
    - Non c’è nessun problema. Siamo onorate di farci chiavare da voi della fattoria, ma insomma, dopo lo sforzo che abbiamo dovuto sostenere ieri che siamo anche svenute tutte, insomma, vorremmo anche noi qualcosa di più…
    - Di più, di più… di più cosa?
    - Di più maschio!!!
    La richiesta mi viene dall’intimo ed è un’energia tutta uterina quella che mi fa reclamare:
    - Un maschio di quelli boni, di quelli manzi, tutti muscoli, che ti sbattono e ti aprono e ti chiavano senza un domani. Quelli che da ragazzine avevamo i poster sopra il letto e, mentre ancora ci crescevano i seni, ci facevamo i ditalini solo immaginando il loro pacco che si ingrossava e pulsava di desiderio per noi che eravamo così giovani e inesperte.
    Dopo una breve pausa il fattore replica con delusione e mestizia:
    - Lo sapevo che non vi potevamo bastare…
    - Ma no, padrone. Non dica così. A noi piace che ci chiavate ogni tanto, ma voi mettetevi nei nostri panni per un attimo. Vorremmo dei maschioni che ci facciano sentire vere donne, che si uniscano a noi con rudezza ma anche con affetto, che ci facciano sentire amate, abbozzo io.
    - Basta con queste macchine fredde, che ci trapanano giorno e notte con frequenze ossessive. Basta cazzi di gomma! Vogliamo degli uomini veri, che ci amino anche per quel poco, per il tempo di una scopata!, interviene la numero 28, una quinta bella agguerrita.
    A questo punto ci zittiamo tutte. Temiamo di avere ferito l’orgoglio del fattore, che in effetti abbassa la testa e rimugina chissà quali pensieri. Non so le altre, ma io mi chiedo se non stia già meditando un qualche castigo, o comunque una forma di ritorsione nei nostri riguardi così da ristabilire i rapporti di forza e da riaffermare la sua virilità ferita.
    - Vi dico la verità, ragazze. Ci stavo pensando giusto in questi giorni e quanto mi state dicendo conferma che ci avevo visto giusto. Avete bisogno di sentire un uomo che vi cavalchi e vi chiavi come piace a voi. Siete tutte e trenta delle belle ragazze, che in un’altro mondo, in un’altra società, vi trovereste sposate a qualche belloccio capace di amarvi e farvi felici come meritate. Purtroppo o per fortuna questa vostra società ideale non esiste più. Però restano i bisogni e io lo capisco. Per questo stavo già di mio per dare l’assenso ad un squadra di rugby che mi ha chiamato…
    - UNA SQUADRA DI RUGBY?!?, gridiamo pressoché all’unisono dalle prime alle ultime file, noi ragazze che non vediamo l’ora, letteralmente non vediamo l’ora di sentirci finalmente possedute da maschioni tutti muscoli e con l’ormone a palla.
    - Cioè, ha detto UNA SQUADRA DI RUGBY???, ripetiamo, prese dall’emozione.
    Qualcuna di noi già sviene, altre si sventagliano il viso con le mani per vincere l’emozione. È bastato davvero poco per farci sbrodolare.
    - Calma, ragazze, calma! Non vi ho ancora detto perché mi hanno contattato.
    - Ma lei dica di sì!!! Li faccia venire che poi ci pensiamo noi ad allenarli con una bella mischia!, interviene la numero 10, che pregusta la scena e non si frena più.
    Intemperanze a parte, veniamo a sapere che un’intera squadra di rugby ha chiesto di poter fare visita alla fattoria in periodo che, secondo il gergo degli allenamenti, viene detto di scarico.
    - Il fatto è che vorrebbero proprio scaricarsi i coglioni con voi altre, conclude il fattore con un gesto eloquente.
    - Sìììììììììììììììììììììììì!!!, esultiamo noi, saltando e abbracciandoci, in un tripudio di forme ballonzolanti.
    - Allora dico di sì?, chiede il fattore, cui piace fare il finto tonto.
    Un coro entusiasta lo sommerge e tutte lo andiamo a sbaciucchiare e a ringraziarlo come si deve. La numero 8 non ce la fa a trattenersi e si accoscia davanti a lui, sfilandogli la cintura e slacciandogli i calzoni, per concedergli infine un bel pompino, davanti a tutte noi, che la applaudiamo.
    Mentre lasciamo che il fattore venga sulle poppe e tra le labbra della numero 8, passiamo direttamente al giorno tanto atteso: quello della visita dei rugbisti alla fattoria. Ci spiegano che la squadra ha bisogno di abbassare il testosterone per capire meglio le tattiche di gioco e per aumentare la concentrazione. Noi, detto per inciso, non ci capiamo niente e poco ci importa. Semplicemente non vediamo l’ora che i trenta fusti venuti giusto per scaricarsi dismettano le loro brave tute e si palesino con tutti i loro muscoli pulsanti sangue e desiderio.
    Finalmente l’allenatore dà loro l’ordine e ognuno di loro punta una di noi, per la maggior parte dei casi se la carica in spalle, rifilandole una sonora pacca sulla chiappa e ci dirigiamo verso la zona notte, per consumare attimi di passione. Io sola vengo avvicinata dal capitano della squadra, che mi chiede con un gesto la mano. Gliela porgo e lui me la baia con una galanteria d’altri tempi. Quindi sempre tenendomi per mano andiamo alla nostra alcova.
    Non conosco i ruoli di questo sport e non so niente di come possa giocare questo ragazzo che mi ha scelta, ma posso di certo dirvi che il suo è un fisico statuario. Mi sembra di fare l’amore con un dio greco, con un bronzo di Riace. Gli mordo i pettorali e i bicipiti più volte, lo lecco, digrigno i denti e divarico in continuazione le dita dei piedi, sotto i colpi martellanti e intrepidi del suo inguine contro il mio.
    Apro le gambe come la cosa più naturale del mondo, come la prima donna che conosce il primo uomo e senza sapere niente dell’amore lo impara, riempiendosi tutti e cinque i sensi con la magia di quei momenti irripetibili e così speciali. Il suo cazzo è un’alabarda che affonda a ripetizione nella mia intimità. Lo estrae, lo affonda e nel mentre mi bacia ovunque e io di rimando lo bacio, ansimando e sussurrandogli nell’orecchio:
    - Oh, sì! Fottimi. Sì! Ti adoro. Amore mio.
    E così dicendogli ecco che il ragazzo si inarca. Ha i dorsali tesi e i glutei contratti, per affondare con ancora più vigore e veemenza nella mia vagina, che è un brodo di umori e gli facilita il compito.
    - Ti piace, eh? Toh, piglia allora. Vacca troia. Ti adoro anch’io. Amore mio, mi fa eco il ragazzo, martellandomi e abbracciandomi per un tempo che mi pare infinito.
    Insomma, doveva essere un allenamento, una parte di scarico e nulla più, ma noi in quel tempo sotteso tra il baciamano e l’orgasmo del mio capitano abbiamo fatto l’amore, l’amore vero, quello che si lascia trascinare dalla corrente della passione e diventa tutt’uno con il vento, con la pioggia, con lo scorrere delle stagioni.
    Al momento culminante, il mio uomo ha pure la prontezza di sgusciarmi fuori e di rimuovere il gommino che per cautela inguantava il suo cazzo e me lo presenta davanti, il suo cazzo turgido e pronto a schizzare. Io ho giusto il riflesso di aprire la bocca e mi sento inondare il palato, il viso, il petto di ripetuti fiotti di sperma. Deglutisco, lo mando giù e lo lecco da dove mi ha schizzato. Mi prendo i seni in mano e me li lecco, ripulendomi così da tutto lo sperma versato.
    Finito di spremersi fuori le ultime gocce, lui mi bacia in fronte, sulle gote arrossate dal piacere, sulle labbra pulsanti.
    - Ti amo, Chiaretta. Eri il mio sogno erotico prima di venire qui, ma ora che ti ho assaggiata non ti lascio più. Voglio che tu sia la mia donna, la madre dei miei figli, l’angelo del nostro focolare, mi sussurra, strizzandomi con un vigore maschio e deciso le enormi poppe, che rispondono alla sollecitazione schizzando qualche rivolo di latte.
    - Oh, amore mio! Lo sai che non è possibile. Le donne come me se ne devono stare in produzione adesso. È finito il tempo in cui ci potevamo innamorare dell’uomo che ci avrebbe chiavata e mantenuta per sempre, gli replico con dolcezza, accarezzandogli i capelli e asciugandogli la fronte dal sudore.
    - Lo so, ma non è giusto. Questo stupido governo con le sue politiche femministe e machiste non potrà durare a lungo. Le donne che ci tocca frequentare sono insopportabili. Tutte fissate con la carriera e con le palle che non hanno e che non possono avere. Voi altre invece siete così dolci, così vulnerabili. Si vede che vi piace proprio farvi fottere e che non chiedete altro. Per questo vi hanno segregate e vi sfruttano. Perché hanno invidia di voi e forse anche un po’ paura di non trovare più uomini, con voi in circolazione.
    - Che bello quello che dici! Non so se hai ragione, ma mi piace tanto che tu lo pensi davvero. Come ti chiami?
    - Mi chiamo Fabrizio.
    - Hai proprio un bel nome. Oltre che un bel cazzo, aggiungo io e comincio a fantasticare.
    - Chiara e Fabrizio. Fabrizio e Chiara. Dici che potrebbe funzionare?
    - Io dico di sì.
     
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    - CAPITOLO 10 -

    Se fosse possibile sognare dentro un sogno, questo sogno nel sogno avrebbe un titolo a parte. Si chiamerebbe: “La mia vita con Fabrizio, il mio capitano”.
    Ragazze, se non avete idea di cosa sia l’amore probabilmente questo mio sogno non lo capirete mai, né io potrò mai raccontarvelo. Ma se almeno una volta avete provato quelle palpitazioni, quella dedizione per un’altra persona, quell’ansia, quella voglia di donarvi interamente al vostro uomo, beh, allora capite cosa voglio dire.
    Intanto vi basti pensare che l’indomani del nostro primo incontro, il mio capitano si presenta alla fattoria con un pacco di soldi. Intende riscattarmi e al fattore glielo dice chiaramente.
    - Sono qui perché voglio Chiaretta. Deve diventare mia moglie. Non voglio discussioni. Pagherò quello che c’è da pagare, ma la voglio immediatamente fuori di qui.
    Il fattore, tutto allarmato, gli fa cenno di abbassare la voce.
    - Benedetto ragazzo, abbi almeno la prudenza di parlare sottovoce. Se ci sentono quelli della polizia siamo fritti. Sia tu che mi proponi una cosa del genere, sia io che ti sto ad ascoltare. Ti rendi conto del pasticcio che andrei incontro se liberassi Miss Sweety accettando soldi in cambio? Sarebbe la volta buona che mi sequestrano ogni bene e che finisco in carcere. E lo stesso tu. Quello che hai in mente di fare si poteva una volta, ma adesso, con i tempi che corrono, ti ritroveresti senza lavoro in un batter d’occhio. Dai retta a me. Vieni tutte le volte che vuoi. Te la bombi, ti svuoti le palle e…
    - Non provare neanche a usare questi termini macisti con lei. Le devi portare rispetto, hai capito? Lei è la mia donna.
    - La tua donna, la tua donna! Ma non capisci che è una femminuccia sottona e buona a nulla? Ti si attaccherebbe come una ventosa alle palle e si farebbe mantenere come ha sempre fatto con tutti gli uomini che le sono cascati ai piedi. Lo sai che è stata la prima a costituirsi, quando il governo ha approvato le leggi di segregazione delle donnicciole come lei? Capisci che quando la premier le minacciava in quel primo famoso discorso, lei si bagnava? Per quanto ci possa sembrare strano e impossibile, a lei, come a tutte le altre che sono arrivate dopoe, piace stare qui a farsi fottere e a farsi pompare cisterne di latte da quelle poppe gigantesche e meravigliose che si ritrova.
    - Questa è tutta propaganda. Vi hanno proprio lavato il cervello.
    - Può darsi. Tu però dimostri di avere poco di cervello, se continui a insistere di volerti portare via Chiaretta, proprio lei, che è diventata un’icona delle donne buone a nulla messe in produzione dal governo. Ti rendi conto del putiferio, se anche solo si venisse a sapere. Vendiamo il latte con la sua faccia e le sue tette sulle etichette! Te lo ricordo, se mai ti fosse sfuggito.
    - Non me ne frega un accidente. Da adesso in poi il suo latte servirà per sfamare i nostri figli e le nostre figlie. Voglio che me ne dia una cucciolata.
    - Sei proprio pazzo da legare, caro ragazzo! Ti sei preso una cotta bella e buona, te lo dico io. Adesso però sparisci. Noi non ci siamo visti. Non abbiamo parlato. Soprattutto, tieniti i tuoi soldi, io faccio finta che non me li abbi mai offerti. Al limite, sappi una cosa. Che questa notta Miss Sweety farà gli straordinari e che la porta della stalla resterà aperta. Poi veditela tu. Io però non ti ho detto nulla.
    Così con il favore delle tenebre, mentre io ero crollata dal sonno e ancora stavo attaccata alla mungitrice, unica nella stalla, mi sento afferrare per i fianchi. Ho un sobbalzo e lì per lì penso che sia il fattore che ha voglia di togliersi lo sfizio dopo essere stato rifiutato dalla moglie. Invece è Fabrizio, che mi libera dall’imbracatura e mi stacca le ventose che mi pompano e mi strappano i capezzoli.
    - Oh, mio eroe!, faccio tempo ad esclamare, prima che Fabrizio si metta un dito davanti alla bocca, invitandomi al silenzio.
    - Zitta, ocona! Adesso vieni via con me. Ad una condizione però. Che mi ubbidirai senza discutere. Va bene?
    - Ma certo, amore mio! Tutto quello che vuoi!
    Neanche finisco di parlare che mi arriva un ceffone in pieno volto.
    - Cosa ti ho appena detto? Che non devi…
    - Parlare!
    Secondo ceffone, stavolta sulla chiappa sinistra.
    - Brava. Fai solo sì o no con la testa, così ci capiamo. A me di questo governo e delle sue politiche femministe non interessa un fico secco. Di donne in carriera ne avrei una valanga, ma non ne voglio. Mancano di femminilità. Mi sembra di stare con uomini o con esseri androgini, che smaniano per farsi largo nella società, che sgomitano e vivono in rivalità sia con gli uomini che con le altre donne. Quella che cerco invece è una donna dolce e remissiva come te. Non mi importa se ti dovrò mantenere e se dovrò affrontare di conseguenza le ire di questo stato poliziesco. Mi segui?
    Faccio sì con la testa.
    - Perciò sei pronta a diventare mia moglie?
    Faccio ancora sì con la testa, ma con più convinzione. Sorrido anche con tutta la dolcezza di cui sono capace.
    Fabrizio mi stampa una bacio profondo, con la lingua. Sembra che mi voglia divorare.
    - Bene, allora andiamo, mi fa lui prendendomi per mano e imboccando l’uscita.
    La mia fuga dalla fattoria delle vacche pettorute e sottone è stata più semplice del previsto. Quello che ci aspetta dopo, a me e a Fabrizio, è invece più duro e a tratti più sorprendente di quanto fosse lecito immaginare.
    Intanto però decidiamo di celebrare il nostro matrimonio con una bella scopata. La notte stessa della fuga, quando Fabrizio mi solleva con le sue possenti braccia, mi fa varcare nuda la soglia della sua abitazione e mi adagia sul suo letto, si spogli e mi presenta la sua spada in tutta la sua virile prestanza. Comincio a ciucciarglielo e me lo coccolo per bene per stuzzicarlo e farlo diventare ancora più duro. Quindi mi viene sopra e me lo affonda nell’intimità con una naturalezza e un amore che non conoscevo nella fattoria. Mi sbatte con una forza e un imperio che mi fanno muggire come la vacca che ancora mi sento di essere.
    - Oh sì! Oh sììììììì! Godooooooooooooohhhh!!!, esclamo non appena sento il richiamo dell’orgasmo.
    Fabrizio mi tappa la bocca con entrambe le mani.
    - Troia puttana! Adesso sei mia e mia soltanto!, sussurra, digrignando i denti e dandoci dentro come un forsennato.
    Il letto e i nostri inguini fanno un rumore selvaggio. Mi sento come un’incudine che riceve tante martellate dal suo fabbro. La sensazione è così piacevole e mi sento talmente vinta e sopraffatta dalla sua forza che mi sciolgo in un secondo orgasmo, il cui grido mi è soffocato in gola. Non riesco proprio a nascondere il piacere che provo ad ascoltare quelle semplici parole:
    - Troia puttana! Adesso sei mia e mia soltanto!, sono le due frasi che mi riecheggiano nella mente, mentre socchiudo gli occhi e ricevo una nuova scossa di elettricità per tutto il sistema nervoso.
    Incurante del piacere che provo, misto allo strazio delle mie carni dischiuse così selvaggiamente, Fabrizio prosegue il suo andirivieni dentro e fuori di me con una precisione chirurgica e una possanza taurina. Non riesco proprio a evitare un terzo orgasmo mentre lecco il suo pollice e mi allargo sempre più per riceverlo con la prepotenza che a lui piace dare come a me piace ricevere. Il suo corpo maschio si muove e ondeggia su di me riempiendomi il petto rimbalzate e a sua volta ondeggiante di una forza primitiva e atavica, che nessuna macchina potrà mai surrogare.
    Infine, anche Fabrizio coglie il suo piacere. Un fiotto di caldo succo scorre dalle sue palle alla mia vagina.
    - Oh sìììììììììì! Piglialo tutto!, mi fa in faccia, mentre un rivolo gli scorre da un angolo della bocca.
    Per quanto replicheremo anche le notti e i giorni seguenti, come non ci fosse un domani, sono certa che sia stata quella prima notte nella nostra casa, quella in cui abbiamo concepito il nostro primo figlio.
    Intanto però dobbiamo nasconderci. L’indomani mattina Fabrizio tiene accesa la televisione in attesa che la notizia della mia fuga prenda il sopravvento su tutte le altre. Invece, per tutto il giorno non succede nulla.
    - Forse il fattore non ha denunciato la fuga, oppure la polizia bada bene che non trapeli la cosa. Temono che possa incoraggiare anche le altre a scappare, ipotizza Fabrizio.
    Fatto sta che devono passare un po’ di giorni, tutti scanditi da solenni scopate, prima che la mia assenza alla fattoria delle vacche pettorute e sottone deflagri in tutta la sua risonanza mediatica.
    - Miss Sweet Chiaretta è fuggita, è il titolo che rimbalza su ogni testata.
    I sotto titoli, espliciti o sottintesi, vanno tutti in una sola direzione:
    - È aperta la caccia.
     
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