Hot Juice ~ Love is war!

Posts written by Poiana Diharris

  1. .
    grazie per il commento al racconto
    spero ti sia piaciuto
  2. .
    Quando ero ragazzo, ero fidanzato con una fanciulla che poi sarebbe diventata la mia prima moglie.
    Vivevamo e studiavamo a Roma. Ci eravamo conosciuti al liceo artistico e lei era di tre anni più piccola di me.
    Quando accadde quel che sto per raccontare, lei aveva 16 anni e io 19.
    Lei, Eliana, era originaria di un paesino del salernitano.
    Come tutti gli anni, anche quella estate, qualche giorno dopo la chiusura delle scuole, i genitori la mandarono in vacanza per un paio di mesi dalla nonna, giù al paese di origine.
    Passate le prime due settimane di 'quel' soggiorno, lei ebbe forti dolori alla pancia, tant'è che la portarono in ospedale per una sospetta appendicite.
    Io ero a Roma. Ero al primo anno di università e quello era periodo di esami.
    Appena seppi la notizia, nel fine settimana mi precipitati per raggiungerla.
    Sia per vedere come stava, sia perché mi mancava. Noi facevamo sesso tutti i giorni e la costante liberazione quotidiana di ormoni cominciava a mancarmi e a farsi sentire la necessità di fare sesso.
    Lei prendeva già la pillola. E a quei tempi non era la norma per una sedicenne.
    La ginecologa, anche se Eliana era minorenne, conoscendo la situazione e la mentalità della sua famiglia, non aveva esitato, con una scusa, a prescriverle la pillola: ufficialmente, l’assunzione del contraccettivo serviva a regolarle il flusso mestruale.
    I genitori bigotti e retrogradi non avrebbero mai digerito il fatto che sua figlia prendesse la pillola come contraccettivo. "E per farne cosa? Per farsi sbattere da uno spiantato, attore, universitario e squattrinato?!" Mi sembra di sentirli ancora. No, no… non era il caso che si certificasse che la figlia aveva rapporti con uno come me. E per di più lei era ancora minorenne!
    Comunque se loro, i genitori, non andarono giù a trovarla non fu per negligenza: lavoravano entrambe.
    E poi, sapevano che la loro figlia era in buone mani: oltre alla nonna, c'era anche la zia paterna, che viveva lì e che era caposala proprio del reparto chirurgia di quell'ospedale.
    Devo dire inoltre che proprio i genitori pur non presenti, furono un elemento determinante in quel che sto per raccontare.
    Insomma… il giorno dopo l’intervento mi precipitai in ospedale entrai nella stanza che mi era stata indicata e trovai Eliana che dormiva.
    Era voltata verso la finestra. Appena mi avvicinai per darle un bacio mi sentii cacciare via con un gesto del braccio, mentre diceva con la voce impastata:
    "Basta! Adesso basta... fammi dormire... non voglio! Non voglio! Basta!"
    Rimasi male per questa sua reazione. Mi ero fatto più di trecento chilometri col caldo, su un autostrada affollata da migliaia di vacanzieri e… mi aspettavo almeno un saluto.
    Lascia da parte il mio disappunto e provai a pensare che potevano essere i postumi dell’anestesia totale o, forse, poteva essere una reazione dovuta al fatto che venisse continuamente svegliata dal personale dell’ospedale: prelievi di sangue, rilevamento della temperatura, cambio della flebo...
    Presi una sedia e mi accostai al letto, lasciandola dormire.
    Quando si rese conto, svegliandosi dopo un paio di ore che ero lì mi saluto con calore e affetto.
    Ancora una volta giustificai la sua reazione di prima, come gli effetti postumi dell’anestesia. Quel suo abbraccio fu sufficiente a far si che tutto il mio disappunto svanisse in un istante.
    Peccato, però, che si svegliò era già scaduto l’orario di visita: l' infermiere, un tipo burbero anche se molto giovane, era passato già due volte per invitarmi ad uscire.
    Rimasi un altro po’ ma, vedendo che lei era più assente che presente, dovetti cedere alle insistenze di chi mi esortava con vivacità a lasciare l’ospedale.
    ..............................
    Arriva settembre…
    Tornati a Roma, dopo un po’ di giorni, vedendo che lei era sempre triste e non mi guardava più negli occhi, cominciai a preoccuparmi.
    Eliana era una morettina molto solare, riccia, carina, minuta e con tutte le forme a posto, amplificate dalla bellezza di quella età. Uno splendore, insomma. Non mi rassegnavo a vederla così spenta.
    Da quando era tornata dal paesino della nonna, non era più la stessa. Ed io volevo capire da cosa dipendesse il protrarsi così a lungo, di quell'umore che la rendeva a me irriconoscibile.
    Dopo mille insistenze e decine di approcci diversi, riuscì finalmente a farla aprire.
    Cautamente e con mille titubanze, arrivò a dirmi, prendendola molto alla lontana, che le era successo una cosa brutta in ospedale. Anzi, più di una...
    Ricordo il suo racconto come se lo stessi rivivendo ora, che lo sto scrivendo. non mi sembrano passati trent'anni da quando mi ha raccontato quelle cose.
    Lo ricordo e lo rivivo con rabbia, anche se una rabbia raffreddata e diluita da tre decenni.
    Prese a parlare, come chi non aspetta altro che potersi liberare di un macigno che opprime l' anima.
    Parlò sempre lei da quel momento. E più andava avanti e più mi sentivo inebetito e incredulo.
    “Quando sono arrivata in ospedale, mi hanno fatto la visita al pronto soccorso e poi hanno fatto scendere zia Lucia per dirle che dovevano operarmi di appendicite.
    Mia zia era d’accordo, visti gli esami appena fatti. Io ero spaventata ma il dolore era fortissimo e allora pensai che forse avevano ragione: meglio fare l'operazione."
    Eliana singhiozzò un poco e poi riprese a parlare.
    "Mi misero su una lettiga e mi portarono su al reparto, in una stanza dove ero da sola.
    Mi fecero indossare un camice senza null'altro indosso. La sera, dopo la cena, mi venne a chiamare una persona che si presentò come l'anestesista.
    Mi disse di seguirlo.
    Mi accompagnò in una stanza dove c'era un altro uomo, più vecchio dell'anestesista; disse di essere il chirurgo che il giorno dopo mi avrebbe operato.
    Mi dissero di stare tranquilla e che era prassi, prima dell'intervento, chiedere delle cose utili a gestire al meglio l'intervento.
    Appena mi sono seduta, hanno cominciato a farmi mille domande:
    - Quanti anni hai?
    - Che malattie hai avuto?
    - Che medicine prendi?
    - Hai un ragazzo?
    - Prendi la pillola?
    ...quando mi hanno fatto questa domanda sono vistosamente arrossita. E loro hanno ripreso le domande insistendo su questo punto:
    - Ce lo devi dire! Perchè se la prendi dobbiamo regolarci su come dosare l'anestetico.
    - Tanto è inutile che neghi, perchè ce lo ha già detto tua zia. Volevamo solo la tua formale conferma.
    - Sappi che se non ci metti al corrente di tutto, noi rischiamo di sbagliare anestesia e tu rischi di non svegliarti più.
    - Noi rischiamo la prigione per la tua scempiaggine!
    - E non ci va per niente di correre questo rischio.
    Marco, che potevo fare?”
    La guardai, perplesso. Dopo un istante di esitazione Eliana ricominciò a parlare: “Confermai che prendevo la pillola".
    - Oh! Vedi che non ci voleva molto? Mica ti mangiamo! siamo dottori, noi!
    - Che marca e che dosaggio?
    Dopo aver risposto a queste domande si sono entrambe avvicinati a me, riprendendo quel tono minaccioso:
    - Ma i tuoi genitori lo sanno?
    - Sei minorenne, come mai prendi la pillola?
    - Dai! Vieni qui e sdraiati, fammi vedere...
    Il chirurgo mi afferrò per un polso e mi fece stendere sul lettino. Provai a dire, come mi aveva suggerito la ginecologa che si, la prendevo, ma solo perché il ciclo non era regolare e quella pillola serviva appunto a normalizzarlo.
    Ma loro non mi ascoltarono nemmeno.
    Appena stesa, i due si posizionarono uno da una parte e uno dall'altra, mi aprirono le gambe e cominciarono ad osservare in mezzo alle mie cosce.
    Il chirurgo si mise dei guanti e cominciò a toccarmi proprio lì.
    Non ero mai stato toccata così da una persona grande.
    Mi faceva paura.
    A un certo punto, dopo un po' che stava toccando, guardando il mio sesso da molto vicino, il chirurgo disse ad alta voce:
    - Eh, si. non è più vergine. E da parecchio tempo, sembrerebbe. Altro che pillola per regolare il flusso...
    - Questa puttanella la da’ a destra e a manca e vuole farci credere che Cristo è morto di freddo!
    - Pure la zia s'è bevuta la storiella del ciclo?
    - Valla a chiamare, va...
    Marco, credimi! Ho protestato! Ho detto che Cristo non c'entrava nulla e che io facevo l'amore solo col mio ragazzo
    Alle loro risate, li ho anche insultati gridando che non erano affari loro ma intervenne l'anestesista:
    - Dotto', qui la cosa è grave.
    - Tu, intanto, va a chiamare la zia, si, insomma, la caposala...
    - Ah, Si. La zia la chiamiamo di sicuro. Ma se lei ora non fa quello che vogliamo noi, dopo la zia, dobbiamo informare subito i genitori.
    - E certo! Qui ci sono gli estremi per una denuncia per violenza sessuale.”
    “Una denuncia!?” balbettai io, sgranando gli occhi
    E lei: “Oh, Marco! il terrore per quella la minaccia mi immobilizzò. Provai una paura terribile.
    Tu sai com’è mio padre!. Se viene a sapere che non sono più vergine, dopo tutte le sue raccomandazioni, quello prende il fucile e ti spara!"
    Non sto a dire che confusione mi assalì a quelle parole.
    Io lo sapevo bene che il padre ne sarebbe stato capace.
    Lo aveva minacciato varie volte, mentre lucidava il suo fucile da caccia, mettendomi in guardia da eventuali ‘passi falsi’, come li chiamava lui…
    Ma nonostante questo, in quel momento io non temevo il padre di lei.
    No.
    Quel che temevo di più era cosa altro avrebbe potuto confessarmi la mia fidanzatina.
    "E tu, Cosa hai detto? cosa hai fatto". Le dissi.
    Lei dapprima mi guardò smarrita, poi scoppiò in un pianto incontrollabile, inarrestabile. L'abbraccia per rasserenarla ma intanto le mie paure si sommavano ad una insolita quanto insana emozione.
    Cercando di controllare i sospetti che mi assalivano, la rassicurai che non avrebbe mai e poi mai perso il mio amore, il mio affetto, la mia stima...
    Dopo un bel po’ lei che piangeva, finalmente si placò. Riprese a parlare e i miei sospetti trovarono una incontrovertibile conferma.
    Con lo sguardo basso, mi disse che i due medici, avvantaggiati dalla semi nudità di lei, con calma e sistematicamente, la palparono ovunque. tacque, prese fiato, si asciugò le lacrime e guardandomi negli occhi mi confessò che se la scoparono, tutti e due.
    Disse proprio così: "Mi si sono scopata. Tutti e due!"
    I miei sospetti erano ormai una certezza. la mia ragazza, la mia fidanzatina aveva subito violenza. Faticai a mantenermi lucido. Quel che provai in quel momento, non riesco a spiegarlo se non dicendo che ero incazzato ed eccitato al tempo stesso. La rabbia mi indusse a pensare: "Ora vado là e li massacro, 'sti bastardi." Ma ero curioso e inspiegabilmente eccitato. Alla mia domanda di come avvenne, riprese sommessa e con lo sguardo assente, dicendo in maniera diretta e sintetica che mentre uno le sborrava in fica, l'altro glielo metteva in bocca, scambiandosi i posti più volte.
    Nel frattempo ridevano, la insultavano, la minacciavano… “Questa troietta ha proprio una fichetta stretta stretta. Mi sa davvero che scopa poco. Oppure gliela da poche volte al suo fidanzatino”
    "Chissà? magari ce l'ha troppo piccolo, quel cornuto del suo ragazzo"
    "E' vero, troietta, che non racconterai nulla a nessuno?"
    “Con tutta la sborra che le stiamo scaricando in pancia, resterà in cinta con tutta la pillola. Ah! ah! ah! ah! “
    “Magari! così ce la facciamo riportare dalla zia e le riempiamo di nuovo l’utero mentre è ancora in cinta. Ah! ah! ah! ah! “
    Il mio sesso era cresciuto ormai in maniera troppo evidente.
    Accavallai le gambe per nascondere la mia eccitazione alla mia ragazza. Non capivo cosa mi stava accadendo: ero furioso ed eccitato.
    Dopo una breve pausa, mentre lei riprendeva lucidità e io cercavo di tradurre in termini logici quella mia reazione, Eliana riprese il racconto.
    Ormai non aveva più freni, ricominciò il suo sfogo senza nemmeno controllare più i termini. Continuò dicendo che il chirurgo aveva anche provato a incularla.
    "Vigliacco, figlio di puttana!" dissi a voce alta.
    Ci ha provato ma senza riuscirci, aggiunse. Si, perchè a parere dell’anestesista il culo era vergine e il cazzo del dottore era troppo grosso.
    Seppi poi che ci riprovò il giorno dopo, riuscendoci. Da lì a poco Eliana mi avrebbe raccontato come e quando.
    Il mattino successivo, nel giorno dell'operazione, il portantino mentre l'accompagnava in ascensore, sorridendo le disse: "Bella piselletta. ci divertiremo io e te".
    Ma Eliana non fece in tempo a capire a cosa alludesse perché il valium che le avevano somministrato poco prima stava facendo il suo effetto.
    Che qualcuno le avesse sfondato il culo, lei lo dedusse dal dolore che provò nei due giorni successivi all'intervento.
    Era sicura, disse, che approfittando dell'effetto dell'anestesia, il chirurgo e l'anestesista, ai quali si aggiunse il portantino, prima e dopo l'intervento, si alternarono scopandola e inculandola ripetutamente.
    Ci furono attimi di silenzio.
    Per la rabbia faticavo a ragionare sull'accaduto, con l'aggravante che non capivo perchè fossi così eccitato a sentirla raccontare quelle cose. E più mi figuravo la scena del suo racconto, più mi eccitavo.
    Cazzooo!
    Non è normale!
    NON è possibile.
    Più mi immaginavo i volti e i corpi di sconosciuti che si abusavano della mia ragazza e più sentivo il mio fiato farsi corto dall'eccitazione.
    Ero sconvolto dalla mia reazione involontaria, ancor più di ciò che Eliana mi stava raccontando!
    Mi domandavo: "Perché ora ho bisogno di menarmi l’uccello?"
    Avrei voluto scoparmela e incularla anche io, in quel momento, senza neanche spogliarla. Avrei voluto leccarle la fica e non ne capivo il motivo, allora. Forse cercavo tracce di quell'abuso e volevo goderne anch'io?
    Prima che i nostri sguardi potessero incrociarsi, lei riprese la sua confessione.
    Dopo un paio di giorni dall'intervento, lei si ricordò che durante la prima visita, la sera prima dell’operazione, mentre il chirurgo provò a farle il culo senza riuscirci, l'anestesista gli disse di non avere fretta e che l'indomani, con calma, si sarebbe tolto anche quello sfizio.
    Nel ricollegare quelle parole al dolore causato allo sfintere e al condotto anale dei giorni successivi, Eliana spalancò gli occhi.
    La guardai interrogandola con lo sguardo.
    "Si! E' vero! L'hanno fatto davvero! Ora ricordo...
    Dopo l'operazione, ero sulla barella; mi stavo svegliando. Ero col bacino sul bordo di quella lettiga e c'era il portantino che da davanti mi stava inculando mentre gli altri due mi tenevano le gambe sollevate.”
    Ricominciò a singhiozzare forte.
    Era chiaro: approfittando dell'anestesia e del rilassamento dello sfintere, quello che lei ricordava come il grosso cazzo del chirurgo, deve averla penetrata in profondità.
    L’abbracciai ancora, coccolandola e cercando di nascondere quel che di incontrollabile si stava manifestando all’altezza del mio pube.
    Si scusò con me per come mi aveva accolto quel pomeriggio, quando sono arrivato in ospedale.
    La sua reazione, disse, era dovuta alle continue palpate e sborrate in bocca del portantino. Era stordita e pensava che ancora una volta fosse lui a venire ad approfittare della sua bocca.
    Immagino che il porco, approfittando che quell'ospedale ha pochi degenti e che la mia ragazza era da sola nella stanza, chiudeva la tenda paravento, isolando il letto alla vista, e non si perdeva occasione per godersi la bocca della mia ragazza mentre la palpava dappertutto.
    E lei, che non aveva mia voluto che io le venissi in bocca perchè la cosa le dava la nausea, fu costretta ad ingoiare la sborra di quel porco, innumerevoli volte.
    “Quante, quante volte? ‘sto bastardo farabutto!” la incalzai.
    Non se lo ricordava esattamente. Sei, otto, dieci... forse anche di più
    Insomma, disse che quando l'ho baciata e chiamata per nome, lei dormiva e pensava fosse di nuovo quel porco del portantino.
    Ora sudo...
    Sto sudando...
    Ho il sangue alle tempie che mi batte forte e la pressione mi sta riconglionendo.
    E ora, come allora, provo quella strana sensazione di rabbia mista ad un insano piacere.
    Un piacere che è lievitato nei mesi successivi mano a mano che la rabbia diminuiva.
    A volte, da solo nel mio letto, prima di addormentarmi ripensavo alle parole della mia fidanzatina. Rivedevo, o dovrei dire rivivevo, le scene che mi aveva descritto.
    Non ne capivo il motivo ma mi eccitavo e il mio cazzo cresceva nonostante non ne condividessi razionalmente la reazione.
    A volte, mentre facevamo l'amore, mi ricordavo delle sue parole e la scopavo con foga.
    Ora, quando ci ripenso, posso soltanto darmi sollievo masturbandomi più e più volte di seguito ripensando alla mia ragazza riempita di sborra da quegli sconosciuti...
  3. .
    Confesso: sono un sessuomane incallito; non mi sono mai pentito; non sono mai stanco di giocare a fare sesso.
    Il sesso... è da sempre un elemento che permea tutti i miei pensieri.

    E' così. Ed è così fin da quando ero bambino...

    Durante l'adolescenza mi masturbavo in continuazione; il ritmo medio era almeno di una mezza dozzina di pugnette al giorno e i temi del mio sollazzo erano di varia natura. Ovvio che su tutti c'era la fica, anche se non ne avevo mai vista una "vera".

    Ma è opportuno che io prenda a raccontare dall'inizio.

    Avevo 6 anni e Marcella, una bimbetta più grande di me di un anno, anzichè dedicarsi con me al classico 'gioco del dottore', ha pensato bene di arrivare subito al sodo, ritenendo superfluo passare per pantomime che evidentemente lei aveva già rappresentato con altri maschietti più grandi di lei.

    Un giorno, stanchi dei soliti giochi estivi, mi fa: "Facciamo un altro gioco". Prende il mio uccello in mano, saggiandone la consistenza e se lo infila in bocca e invitandomi poi a leccarle la fichetta glabra e succosa.

    Fu la mia iniziazione al gioco del sesso.

    Ancora oggi ricordo quella esperienza come una delle cose più emozionanti della mia vita.

    Fino a quel momento non sapevo nemmeno come fosse fatto il sesso femminile: la vagina, intendo...

    Fu lei, Marcella, la prima a girare quell’interruttore che da allora mi ha reso quel porco erotomane che sono tuttora.

    Da allora, in mille modi diversi, ho cercato l'autogratificazione attraverso il piacere. E non mi riferisco solo al piacere fisico.

    La mia infanzia, dicevo, mi ha comunque forgiato, traviandomi in tutti i sensi.

    Ho giocato incestuosamente, tra i 6 e i 9 anni, con mia sorella praticando cumnilinguo, pompini, sesso anale. Ma su mia sorella tornerò a raccontare in un altro momento…

    Ho sverginato mia cugina quando avevamo entrambe 11 anni. Lei, come tutte le femminucce, a parità di età, era più matura fisicamente e mentalmente di me.

    Dal mio canto, avevo già (me lo diceva anche Marcella) una mazza di dimensioni considerevoli. Eh si. Era una bella nerchia per un ragazzino di 11 anni. Forse l'uso continuo e costante che facevo nel massaggiarmi la verga, contribuì a farmela crescere in quel modo.

    Dicevo di mia cugina, Ivana. Eravamo in vacanza con gli zii, i suoi genitori. Per praticità noi ragazzini, io, la mia sorellina, mio cugina e il suo fratellino, dormivamo in un unico lettone.

    La prima notte, sondai il terreno sfiorandola e palpandole varie parti del corpo, sperando che lei non si svegliasse. Confidavo anche nel fatto che i nostri fratellini, entrambe otto anni, avrebbero dormito sodo dopo una giornata di mare.

    Forte della mancata reazione di Ivana della la prima notte, la notte successiva mi spinsi oltre ai semplici palpamenti, accompagnando questi a silenziose e delicate seghe.

    Mi muovevo con cautela ma con decisione. Senza fare rumore, almeno credo. E comunque senza muovermi troppo nel letto, per non svegliare i fratellini, ospiti del lettone.

    Era la prima volta che adottavo una tecnica da rapace.

    Ho approfittato di lei, del suo silenzio e della sua sorpresa. si sveglio e mi sussurrò soltanto: "Ma che fai? potrebbero svegliarsi!". Non le risposi e, con piccoli e impercettibili progressi, dopo circa mezz'ora, sono riuscito ad entrare tutto dentro di lei. pochi colpi, lenti e moooolto sentiti cerebralmente e... le ho schizzato dentro un'infinità di volte. Le ho inondato la passerina con le mie prime acque contenenti solo tracce di spermatozoi.

    Il giorno dopo, tra me e Ivana tutto andò come se niente fosse successo. peccato che non ci fu mai una terza notte.

    ......................................................

    Ma non ebbi solo esperienze etero, in quel primo periodo della mia vita sessuale.

    Come molti a quell’età, la curiosità verso queste cose spinge con incoscienza a sondare in molte direzioni. Si sperimentano, senza troppi tabù, quali sono le cose che danno emozione e producono piacere.

    Anche con escursioni nell’omosessualità.

    Nel mio caso, poca cosa, intendiamoci... ma non rinnego nulla, non me ne rammarico e non me ne vergogno.

    Cosa da ragazzini, ovviamente... Ad esempio, un mio cugino di un paio di mesi più grande, quando avevamo 10 anni, volle che gli prendessi l'uccello in bocca.

    La cosa non mi dispiacque ed anche se sapevo che, per convenienza, era una cosa da non dire tra noi ragazzini, ci divertimmo spesso a fare questo gioco e in posti impensabili, senza mai destare sospetti nei rispettivi genitori.

    Sempre in quel periodo, un ragazzo di 16 o 17 anni mi promise dei giocattoli che per me erano "inarrivabili".

    Avrei soltanto dovuto permettergli, così mi disse, di poggiare la sua “cappella” al mio “bucio”.

    Non si limito a poggiarlo, ovviamente.

    Era estate e spesso, dopo cena, potevamo scendere e ritrovarci tutti a giocare a nascondino. Per strada c’erano ragazzi e ragazzini di ogni età.

    In una di quelle sere, durante la conta per nascondersi, Franco (così si chiamava quel ragazzo più grande) mi ha portato in un seminterrato di un palazzo in costruzione, vicino casa nostra.

    Mi aveva fatto salire in piedi sopra a dei blocchetti di tufo.

    Lui era dietro di me che gli davo le spalle.

    Lo sentivo avvolgermi con un braccio e armeggiare all'altezza del mio tenero culetto già a portata del suo grosso cazzo da adulto.

    Si sputò sulla cappella e mi disse che lo avrebbe solo poggiato e che non dovevo muovermi sennò mi avrebbe fatto male… e lui, disse volendomi rassicurare, non voleva farmene.

    Aggiunse anche, che avrei provato un po' di bruciore ma avrei dovuto resistere perchè poi, secondo lui, avrei cominciato a provare piacere e comunque... se mi fossi ribellato non mi avrebbe più dato i giocattoli promessi

    Forse io annuì o forse non dissi niente.

    Ero confuso ed eccitato.

    Provò a spingermelo dentro ma inutilmente. Lui lo spingeva con sempre maggior foga ma non entrava... Il mio forellino vergine non ne voleva sapere di cedere.

    Fin lì non sentì nessun dolore e rimasi impassibile.

    Non avevo mai visto il pisello di un adulto ma doveva essere grande se questo non riusciva ad entrare nel mio forellino.

    Rimasi impassibile pensando che fosse tutto lì il gioco, illudendomi di quanto fosse stato facile guadagnarmi quei giocattoli.

    Lo lasciai fare, crogiolandomi all'idea che da li a poco avrei avuto la mia gratifica.

    Lui, invece, approfittando della mia passività, pensò di procedere diversamente: mi fece voltare e inginocchiare. fu la prima volta che vidi un cazzo... uno vero, intendo. mica il piselletto mio o quello di mio cugino o dei miei coetanei. Rimasi allibito...

    Lui, vedendomi esitare mi ordinò di aprire la bocca, cosa che feci senza discutere, e lui senza pensarci due volte fece sparire la sua cappella oltre le mie labbra.

    Aveva un sapore che non conoscevo e mi dava una strana sensazione. La cosa che mi rimase impressa più di altre fu che quel tarallo era morbido e duro allo stesso tempo. Istintivamente presi a succhiarlo.

    "Ciuccialo! Così. bravo! Pare che lo hai sempre fatto... chissà quanti te ne sei già ciucciati, vero troietta?"

    Troietta? Non ne conoscevo il significato. Non capivo cosa dicesse e con chi ce l'avesse... Dopo un po' di avanti e dietro dentro la mia bocca, mi fece alzare di nuovo, in piedi sui mattoni voltandomi di spalle.

    Mi afferrò di nuovo con un braccio, forse per paura che potessi sfuggirgli, e con l'altra mano accompagnò la cappella all'imboccatura del mio culo.

    Prese a spingere, stavolta con più decisione.

    Fu inesorabile.

    Lo sentivo che si faceva strada e più spingeva e più provavo dolore.

    Glielo dissi ma lui non volle saperne di fermarsi.

    Lo sentivo ansimare e ad ogni respiro diceva che avrebbe finito presto, diceva che ero bravo.

    Mi chiedevo cosa stesse facendo quel ragazzo dietro di me? E mi dicevo: allora queste cose non si fanno solo tra maschi e femmine..?!

    E intanto lui era riuscito ad infilare tutta la cappella. si fermò per un lungo istante. Poi riprese a spingere ma senza fare su e giù come prima. Spingeva a basta.

    Sentivo il suo cazzo salirmi dentro e mi pareva quasi che mi soffocasse, come se mi fosse arrivato in gola.

    Io gli dicevo che mi faceva male ma lui non mi mollava.

    Continuava a dirmi: "Non preoccuparti. Faccio piano. dai, stai fermo che finisco subito. sei proprio una brava troietta. Un altro po' e poi esco"

    Rallentava e accelerava. Poi si fermava. E quando si fermava era solo per allargarmi di più le natiche con le mani e poterlo spingere più in profondità.

    Me lo mise tutto dentro, forse, credo… non so… non ci capivo più nulla.

    Provavo un misto di sensazioni inedite: sentivo il mio cazzetto gonfiarsi e il culetto bruciare mentre le gambe si facevano molli e facevo fatica a stare diritto..

    Lui, per tenermi immobile, teneva il suo mento poggiato sulla mia spalla. Cominciai a lamentarmi con maggior convinzione. Lui iniziò ad ansimare più forte: "ferma puttanella, che ti piscio in culo..." Prese a sussultare e ad ogni sussulto a spingerlo ancora più in fondo.

    Ormai, era fatta.

    Era arrivato al suo momento finale.

    Ricordo ancora la strana sensazione che provai nel sentire i fiotti del suo liquido arrivarmi dentro il più profondo angolo del mio intestino. Non si era contentato di avermi rotto il culo. Volle umiliarmi sborrandomi dentro.

    Io non capivo cosa fosse quel liquido che mi inondava le viscere. Era la prima volta che entravo in contatto col liquido seminale.

    Sentivo soltanto che ad ogni affondo, mi scaricava in culo caldi e violenti fiotti di sborra.

    E il mio culo ospitò quel fluido fino al giorno dopo, credo.

    Lo ricordo, perchè anche a distanza di ore, avvertivo quella miscela appiccicaticcia colare dal mio sfintere.

    Tornammo tra gli altri ragazzini che, giocando ancora a nascondino, non si accorsero che io ero stranito da quel che avevo appena vissuto e riprendemmo a giocare come se niente fosse accaduto.

    Da lì a qualche giorno lui se ne vantò con amici comuni, anche in mia presenza: “Gli ho fatto il culo. È una brava puttanella. Vedessi come gli piace ciucciare il cazzo. Gli ho anche pisciato in culo.”

    Ci rimasi male.

    E mentre lo sentivo dire queste cose di me, ancora una volta un misto di sensazioni mi confondeva le idee. Inspiegabilmente avvertivo che ripercorrere con la memoria quell'esperienza mi illanguidiva, mi eccitava. Mi sentivo umiliato e ferito ma mi si intostava il pisello.

    Forse risale a quest'episodio, il trarre godimento dal conflitto piacere/umiliazione.

    Un piacere, il mio, che esprimo e vivo attualmente da entrambe i punti di vista.

    Da potenziale umiliato, mettendo la mia ex moglie a disposizione di cazzi arrapati e spesso sconosciuti, godendo di riflesso del loro piacere.

    E, diversamente, trasmettendo quell'umiliazione piacevole a chi, offrendomi la propria compagna, sia essa moglie fidanzata o amante, ha la cultura e i trascorsi di vita tali per farmi godere pienamente della sua donna.

    Parlandone ora, mi rendo conto dei motivi per cui mi piacque avere tutte quelle attenzioni da quel ragazzo: il fatto che mi sodomizzasse con foga ma con delicatezza; il sentirmi scorrere nelle viscere quel liquido caldo, che ancora non sapevo cosa fosse.

    Si. Era quello il mio godimento in quel momento: essere oggetto di desiderio e di piacere.
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